Villa Boccaccini

Descrizione

Villa Boccaccini è un’enorme villa di origine settecentesca, la cui sagoma si intravede già dalla strada statale Romea, a poca distanza da Comacchio e in prossimità del Lido degli Scacchi, in località Porto Garibaldi. Nota per gli affreschi interni, l’opulenta villa è stata ceduta dai proprietari e giace in stato di abbandono da svariati anni. È diventata nota per essere stata una delle location principali del film La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, per quanto i celebri affreschi esterni a forma di bocca non le appartengano. La circonda, oltre che la meritata nomea di casa in stile liberty particolarmente preziosa, un alone di mistero che la vede infestata da svariati fantasmi. Questo stesso alone, tra svariati altri fattori, deve aver spinto Avati a sceglierla come luogo d’eccezione per il suo film.

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Cenni storici

La villa fu costruita intorno al XVIII Secolo sulla pre-esistente pianta di una casa colonica e, da allora, è sempre appartenuta ai Boccaccini, tra le famiglie più ricche di Comacchio, cui non a caso deve il nome. Fino agli anni Ottanta l’opulenta villa è sopravvissuta all’usura del tempo ed è andata arricchendosi di numerosi affreschi in stile liberty. In seguito, però, la famiglia Boccaccini non è stata più in grado di far fronte ai lavori di manutenzione necessari e ha quindi venduto la proprietà a un acquirente che non è mai stato reso noto. Appartiene a suddetto acquirente ancora oggi, per quanto lo stato di abbandono sia del tutto vistoso e la villa sia ridotta a nient’altro che un rudere.

Focus narrativi

A oggi, Villa Boccaccini si trova in condizioni di degrado avanzato ed è ridotta a un cumulo di ruderi inghiottiti dalla vegetazione circostante. Sulla parete diroccata dinnanzi all’edificio è affisso il cartello “vendesi terreno”, segno indelebile del fatto che l’abitazione in sé non venga neanche considerata dal mercato immobiliare e dai suoi stessi possessori: i costi per una ristrutturazione integrale sarebbero troppo alti da sostenere. Un’intera sezione della casa, a causa della flora che vi ha proliferato all’interno e della presenza di un canale nelle vicinanze, è praticamente inaccessibile.

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Si dice che nella casa colonica su cui poi fu costruita la villa soggiornasse, in tempi non sospetti, un giovane Gabriele d’Annunzio appena prima dell’impresa fiumana del 1919.

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Villa Boccaccini è la villa liberty utilizzata come abitazione delle sorelle Legnani e dove soggiorna il protagonista Stefano in La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati. Questo racconta delle disavventure di un giovane restauratore cui viene affidato il compito di riportare alla luce un affresco di una chiesa di campagna. Stabilendosi in una villa patrizia (Villa Boccaccini appunto), Stefano scoprirà ben presto che nulla è come sembra e che il restauro del macabro affresco è destinato a trasformarsi, per lui, in una trappola mortale.
I suoi interni non furono rimaneggiati in alcun modo durante le riprese del film, che rievoca così il fascino dei suoi affreschi in tutto il suo splendore. Proprio grazie ai suoi interni, la villa veniva considerata uno degli esempi più significativi di Art Nouveau nel Delta del Po. Diversamente da ciò che si crede, le celebri bocche sorridenti non sono sulla facciata diroccata e nascosta dalla vegetazione della villa, ma si trovavano in un casolare, adesso distrutto, nei pressi di Malalbergo (BO). È comunque il film di Avati che ha regalato alla villa la notorietà che adesso riscuote tra fotografi, curiosi e appassionati di cinema: sul celebre horror, annoverato tra i migliori film del genere di tutto il cinema italiano, si sono infatti sprecate ricostruzioni documentali circa ambientazioni, leggende e modi di produzione. È grazie a queste che a oggi si riconosce in Villa Boccaccini uno dei set più utilizzati per le riprese.

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Racconta Cesare Bastelli, aiutante di Pupi Avati nel corso delle riprese de La casa dalle finestre che ridono del 1976, che “Villa Boccaccini fu trovata per caso, girando per quei luoghi in un auto il cui equipaggio era formato da Nando Orlandi alla guida, Pupi Avati, suo fratello Antonio e il sottoscritto. Boccaccini era un signore molto distinto e un po’ stravagante (e forse di origini nobili) che viveva a Torino e il cui figlio faceva l’attore (lavorò in seguito in Jazz Band [film di Avati del 1978, ndr], si chiamava Guido De Carli). Boccaccini, da noi interpellato, volentieri venne a Comacchio da Torino e ci mise a disposizione la sua villa per le riprese”

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Sul fascino misterioso di Villa Boccaccini si sono dette molte cose. Tra queste, anche che il luogo sia stato una meta d’elezione, negli anni, per amanti del paranormale o per cultisti non meglio identificati, che vi si recavano durante la notte per svolgervi messe nere, sedute spiritiche o chissà cosa d’altro. Di tutte queste attività non si sono mai raccolte prove ufficiali, tanto che si pensa (forse a ragione) che la nomea del luogo abbia contribuito a estenderne l’atmosfera e l’oscurità anche ai giorni nostri, trasformandolo in uno spazio che è scaturigine di svariate leggende metropolitane.
Gran parte dell’inquietudine trasmessa da quella “campagna malata, nebbiosa, inquietante” (come ce la racconta lo stesso Avati) è data dal clima che circonda le campagne di Comacchio: la villa è infatti spesso avvolta da una fitta cortina di nebbia, che ne accresceva al tempo il fascino nobiliare, ma che adesso ne accentua i lati più spaventosi. Tra le dicerie che circolano maggiormente, quelle di alcuni coraggiosi esploratori che dicono di aver visto oltre le finestre rotte dell’abitazione accendersi delle luci, o addirittura innalzarsi dei rumori non meglio identificabili.

Spunti videoludici

Villa Boccaccini, i cui interni sono stati magnificati dallo schermo tramite il cinema suggestivo e feroce di Avati, gode proprio grazie alla sua comparsa cinematografica di un confronto che non si può fare di frequente: nel giro di una trentina d’anni è infatti passata dall’essere un rinomato esempio di Art Nouveau all’essere un rudere, a malapena visibile e accessibile, inghiottito da un’incolta vegetazione. A livello estetico, un videogioco potrebbe basarsi proprio sul confronto tra questi due spazi, coesistenti eppure molto distanti: è possibile infatti immaginare uno strumento (qualsiasi: starà all’immaginazione degli sviluppatori) che consenta di saltare da una realtà all’altra, ora vedendo la villa attuale e ora invece tuffandosi a capofitto nel suo aspetto di un tempo, o addirittura nella sua controparte finzionale horror. Sarebbe ottimale, non a caso, recuperare proprio l’ambiguità dell’ambientazione e del racconto di Avati per idealizzare il passato della villa, scagliandola al di là del reale e in un trascorso che è in questo caso prettamente cinematografico. Il liberty della villa non può che andare a braccetto col gotico emiliano-romagnolo: le due Ville Boccaccini, il rudere abbandonato e l’angosciosa villetta in cui risiedeva il restauratore, in seguito accompagnato dall’amante Francesca, sono due specchi che riflettono una stessa realtà che potrebbe diventare il campo d’azione del giocatore.

Le dicerie su d’Annunzio, poi, completano il quadro con un riferimento non meglio precisato: e se proprio l’istrionico poeta, prima di raggiungere Fiume, avesse nascosto qualche segreto nella villa? Se proprio questa fosse stata testimone di qualche segreto inconfessabile, e mai confessato? La ricerca di questa verità, tra restauratori immaginari e una nebbia fin troppo reale, potrebbe spettare proprio all’utente, catapultato tra innumerevoli simulacri di uno stesso luogo, tutti situati però oltre la cortina del reale.

[Bibliografia]

– Luca Servini, Pupi Avati. Il cinema dalle finestre che ridono, Ass. Culturale il Foglio, Piombino, 2017.

[Sitografia]

Davinotti.com
Tales of Wonder.it

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