Tempio di Poseidone

Descrizione

Paestum era una grande città della Magna Grecia. Oggi è un gioiello di archeologia, di architettura greca nella Campania, a una trentina di chilometri da Salerno. Qui è presente uno dei templi più belli e meglio conservati di tutta l’età greca, che ancora ci permette di immaginare lo splendore di quei tempi. Il tempio di Nettuno è il miglior esempio di architettura dorica in tutta la penisola italiana. All’interno del parco archeologico sono presenti altri due templi dorici, più piccoli e non così ben conservati. Il tempio di Nettuno si presenta di fianco a quella che viene chiamata la Basilica, e sappiamo che in realtà non fu dedicato al dio dei mari ma molto più probabilmente ad Hera. Il tetto, oggi crollato, era costituito da un soffitto ligneo interno e da un tetto coperto di tegole in terracotta. La pianta è composta principalmente di tre ambienti, di cui quello centrale sede della statua di culto. A est del tempio è presente l’altare, di cui sono conservate solo le fondamenta.

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Cenni storici

La polis di Poseidonia venne fondata presumibilmente nella seconda metà del VII secolo a.C. e si sviluppò velocemente grazie all’intenso traffico commerciale che doveva avvenire sia via mare che via terra. Trovò il suo periodo di massimo splendore fra il 560 a.C. e il 440 a.C., grazie a diversi fattori. Sicuramente influirono la minor influenza etrusca e la distruzione di alcune polis greche: questi avvenimenti lasciarono un vuoto economico e di potere che Paestum riuscì a colmare, almeno in parte, aumentando il proprio splendore, la propria importanza e di conseguenza magnificenza. È infatti in questo periodo che iniziò la costruzione dei tre magnifici templi che caratterizzano quello che oggi è il parco archeologico di Paestum. Il tempio di Nettuno, probabilmente in realtà dedicato da Hera, venne costruito interamente in travertino intorno al 460 a.C. La datazione non è certa, ma si presume che il periodo storico sia questo viste le caratteristiche architettoniche e stilistiche di marcata impronta dorica, ascrivibili alla fase classica dell’architettura greca. La città di Paestum visse le successive vicende come ogni polis dell’Italia meridionale: dopo il declino dei greci vi fu un piccolo intermezzo di dominazione di qualche popolazione italica, che verrà inevitabilmente conquistata dai romani. Durante il periodo medievale, le vicende riguardanti Paestum non sono molte. Interessante invece è constatare che ancora oggi chiamiamo questo tempio il Tempio di Nettuno perché alla metà del XVIII secolo gli eruditi collegarono il tempio più grande alla divinità che – secondo loro – dava il nome alla città: Poseidone. Studi recenti hanno pensato di attribuirlo ad Hera, ma in realtà regna ancora l’incertezza vista la penuria di fonti materiali.

Focus narrativi

Il tempio di Nettuno si presenta come un edificio imponente, costruito in stile dorico – anticipatore del classico – ma privo di decorazione scultorea scolpita. Si innalza su una breve scalinata di tre gradini, per innalzare e dividere il piano umano da quello divino. Il colonnato dei quattro lati è costituito da sei colonne sulle fronti e quattordici sui lati lunghi, ognuna di queste è alta meno di 9 metri e presenta 24 scanalature, invece di 20, per snellirne l’aspetto. Bisogna sempre ricordarsi che il mondo antico non era caratterizzato da marmo bianco o da elementi privi di colore in generale. Le statue e i templi erano tutti elementi colorati vivacemente, e il tempio nell’antica Paestum non fa differenza. La pietra locale con cui venne edificato, il travertino giallo-dorato, non si presentava quindi agli occhi degli antichi come si presenta a noi oggi. In questo caso le pietre erano state ricoperte e uniformate da uno strato di bianco di calce, per ricordare la madrepatria. Questo strato è ancora riconoscibile in alcuni punti. Allo stesso modo è ancora riconoscibile il blu egiziano, colore di grande pregio che rivestiva i triglifi e gli elementi a rilievo sotto i capitelli dorici. Sempre nei capitelli, il blu era intrecciato al rosso intenso che rivestiva anche le metope e alcuni elementi orizzontali, mentre l’ocra rossa coloriva gli spazi triangolari a coronamento delle facciate. È anche possibile ipotizzare, nelle decorazioni delle cornici, la presenza di una decorazione a fogliette e palmette in rosso e in blu.

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L’interno del tempio è costituito da un naos, una cella, dotato di pronao e opistodomo, rispettivamente lo spazio precedente e successivo alla cella. Entrambi erano incorniciati da due colonne allineate con le due centrale delle fronti, cui corrispondono due colonnati che attraversano la cella dividendola quindi in tre navate. Questi colonnati interni contavano sette colonne doriche disposte sue due ordini sovrapposti. Erano caratterizzate da un ininterrotto assottigliamento del fusto dal basso verso l’altro. Dopo l’ingresso della cella, vi erano due vani sopraelevati rispetto al piano dello stilobate. Nel vano a destra venne costruita una scala in pietra che conduceva al soffitto. La cella è pavimentata con tre lastre litiche rettangolari affiancate, solamente all’altezza della quinta colonna dell’ordine inferiore le lastre sono due. È quindi presumibile che questa deviazione servisse a marcare il limite oltre il quale era posizionata l’immagine del culto, probabilmente una statua dedicata ad Hera.

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Il cantiere del tempio ha una storia affascinante almeno quanto quella del tempio stesso. Ci fu un primo progetto, poi ripensamenti, cambiamenti e il risultato che vediamo oggi è il risultato di varie riprogrammazioni. La peculiarità principale – che portò all’ideazione della tesi di un cantiere prolungato – venne notata dall’archeologo Dieter Mertens. Fra i tre gradini che portano all’entrata del tempio ci sono differenze sostanziali, in maniera particolare fra il livello superiore e quello di mezzo. Il primo presenta, come da regola, un blocco quadrato posto sotto la colonna, una lastra intermedia, e un altro blocco in presenza della colonna. Il gradino inferiore, invece, ha un ritmo diverso: non c’è un’alternanza precisa e cadenzata fra blocchi, ma sono presenti blocchi ben più lunghi di quelli regolari sopra. Questa cadenza differente è legata a un progetto che apparteneva a un altro tempio, più antico. Questo prevedeva che sopra le giunture ci fossero altre colonne, otto colonne sul lato corto per diciannove nel lato lungo. Il progetto di questo tempio si colloca perfettamente nelle tradizioni architettoniche più antiche e darebbe al tempio una forma differente: colonne più piccole che delineano un tempio più basso con una proporzione complessiva decisamente diversa. È affascinante pensare che un tempio agli occhi nostri perfetto, armonioso e mozzafiato sia in realtà frutto di cambiamenti in corso d’opera, aggiustamenti e ricostruzioni. Gli scavi fatti negli ultimi anni hanno messo in evidenza fino a sette livelli di blocchi sottoterra. Probabilmente, di questi blocchi quattro erano stati costruiti come blocchi di fondazione sotto il livello del suolo, tre erano posti al di sopra per elevare ancora di più il teatro. Sopra questi tre blocchi sarebbero stati presenti i gradini che oggi vediamo. Per arrivare direttamente ai gradini che oggi vediamo, i greci avrebbero compattato terra, scarti, argilla per formare un piccolo rialzamento del suolo, creando così una leggera salita che culminava nel primo dei tre gradini che ancora oggi vediamo. Sopra questo progetto, venne poi modificato e costruito il tempio che oggi vediamo. Lo studio della terra costituente la salita creata dai greci probabilmente permetterà di individuare in maniera precisa il periodo in cui il tempio iniziale venne costruito.

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Ancora oggi davanti al tempio si vedono i resti degli altari sacrificali che si trovavano sempre all’aperto e costituivano, dal punto di vista religioso, gli elementi essenziali dei santuari antichi. La divinità cui veniva offerto il tutto era presente e guardava lo svolgersi attraverso il tempio, con la cella aperta. All’esterno del tempio, tutt’oggi, si stanno svolgendo scavi su un piccolo sito che viene chiamato la “casa dei sacerdoti”, una struttura di incerta funzione. L’edificio ha un impianto irregolare, alcune parti sono pavimentate con grandi lastre e probabilmente la sua storia si rifà a tempi molto antichi, prima della costruzione del tempio che vediamo oggi. Il nucleo più antico dell’edificio avrebbe almeno tre ambienti e muri formati da grandi blocchi composti con materiali probabilmente della zona. Andando verso l’altare del tempio, la parte sud dell’edificio, si trovano evidenze che testimoniano un riutilizzo del sito da parte dei romani. Il pavimento in coccio-testo, infatti, è tipico dell’epoca romana repubblicana e si intravedono anche elementi decorativi. Pare abbastanza logico pensare che questo edificio avesse uno scopo di sostegno alle pratiche dei sacrifici, contestualizzandolo anche col forno coperto trovato non molto distante dal tempio. È solo che logico che i romani, dopo aver ribattezzato il tempio e modificato la divinità cui si riferivano, abbiano deciso di riutilizzare l’edificio mantenendo le modalità e i fini per cui era stato costruito.

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Il teatro svolse una funzione importante nella riscoperta dell’architettura greca nell’epoca moderna, nel contesto dei viaggi del Grand Tour. Il viaggio in Europa alla ricerca delle opere più belle era inevitabile per i giovani colti e benestanti europei e buona parte delle tappe erano in Italia: Roma, la Campania, Napoli erano luoghi dove riscoprire la classicità e i fasti dell’Impero Romano. La Magna Grecia era quindi una tappa fondamentale, e allo stesso modo Paestum. Un dipinto di Jacques Taurel, per altro, ci testimonia come i templi venissero ammirati anche dal mare in epoca illuminista. Sempre restando in ottica paesaggistica, per i romantici la visione di Paestum nel contesto della campagna con campi arati, vecchie colonne scalfite e greggi di pecore doveva scaturire una meraviglia non indifferente. Non a caso Goethe lo definì “la più splendida immagine che porterò con me integra al nord”. Anche il pittore William Turner venne stregato dal posto, che lo indusse a produrre più di uno schizzo sul tempio di Poseidone.

Spunti videoludici

Il fascino di un tempio greco è qualcosa che perdura nella mente da tempo. Scenograficamente, quindi, lo spettacolo del tempio di Poseidone e in generale di Paestum è una sicurezza. La sua imponenza piò essere sfruttata da un punto di vista videoludico per creare uno scontro con un boss all’interno del tempio stesso. Visto il suo valore storico, inoltre, il tempio può fare da sfondo all’avventura di un eroe in età antica: si potrebbe assistere a un sacrificio, interrompere un rito sacro, assassinare un sacerdote ritenuto malvagio o salvarne uno ritenuto buono da un assassinio. Il magnetismo dei riti sacri antichi, comunque, può essere sfruttato benissimo all’interno di uno dei templi antichi meglio conservati d’Italia. Anche il fatto che abbia avuto diverse fasi di costruzione e realizzazione può dare vita a dinamiche di scavo, ricerca e mistero interessanti in un videogioco di investigazione. Infine, un personaggio principale potrebbe imbattersi in qualche ricco proprietario terriero europeo in viaggio in Italia, per sfruttare la situazione a suo vantaggio: sia per chiedere eventuali informazioni, sia per sfruttare vantaggi economici o politici.

[Bibliografia]

– Salvatore Gaston (a cura di), Paestum: i templi e il Museo, Milano, Franco Maria Ricci, 1989.;

[Sitografia]

Museo Paestum
Racconti di Arhceologia – il tempio di Nettuno
Paestum, tra storia e leggenda: i templi di Era
Il tempio di Nettuno a Paestum

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