Descrizione
Nella Maremma laziale, non distante dalla Toscana su un colle che domina il fiume Marta, presso la via Aurelia sorge lo storico comune di Tarquinia. Il territorio della città si estende dai boschi dell’entroterra viterbese fino alle spiagge della costa tirrenica racconta tantissime storie. Tarquinia è stata un centro etrusco di straordinaria importanza, sviluppatosi grazie al corso d’acqua sottostante e al territorio fertile, qui è presente un’importante rocca e il luogo era territorio di scontro fra città importanti come Viterbo e Roma. Al giorno d’oggi è un importante centro turistico e culturale nella provincia di Viterbo.
Cenni storici
La città fu uno dei più importanti centri della dodecapoli etrusca. Esisteva già nel IX secolo a.C. ma fu nel VI e V secolo a.C. che la città toccò il suo apogeo urbano, cui corrispose un’espansione che la porterà a dominare fino al lago di Bolsena. La sua grandezza è testimoniata dallo sviluppo della famosissima necropoli. Altro testimone della grandezza e capacità della città fu la cinta fortificata di 8 km, che delimitava una superficie complessiva di 135 ettari, eretta fra la fine del V secolo agli inizi del V secolo. Questa cinta rifletteva delle necessità difensive dovute dalle invasioni dei Celti dal nord e i primi passi di Roma nella creazione di quello che sarà un impero. Le prime ostilità fra Tarquinia e Roma nascono nel 358 con un conflitto conclusosi 7 anni dopo stipulando una pace di 40 anni. Gli scontri si intensificarono dalla fine del IV secolo a.C. fino alla sconfitta definitiva della città etrusca e nel 295 a.C. dopo la battaglia di Sentino la città entrò a far parte dei territori romani nella regio VII Etruria. La città visse in tranquillità e prosperità forte della sua vicina posizione al mare, muovendosi e agendo grazie al ruolo di principale porto dell’Etruria meridionale. Dopo la caduta dell’impero Tarquinia passò sotto il regno romano-gotico di Teodorico, trovandosi quindi coinvolta della guerra greco-gotica. Entrerà poi nel ducato di Tuscia tenuto dai longobardi. La città segue tutto il percorso classico dell’Italia centrale, acquisita dai domini carolingi e donata al pontefice nel nuovo Stato della Chiesa. Il problema era che dall’età Tardo Antica in poi si assistette a un graduale spopolamento della città, accentuato in età medievale, che portò Tarquinia a essere poco più di un castello fortificato. Non per niente, dall’VIII secolo su un colle contiguo alla città antica è attestata la presenza di una rocca, Cornietum. Il territorio cornetano divenne uno dei più importanti della zona, soprattutto per la sua produzione di frumento. Questa Corneto è l’attuale città di Tarquinia, così chiamata dal 1922 in avanti. La Tarquinia etrusca, quindi, rimane localizzata sul colle dove oggi è presenta la famosa Necropoli, il colle della Civita. Venne prima preso di mira da Federico II, poi si inquadra nello scontro fra Viterbo e Roma fra il XIII e XIV secolo, finendo per essere preso in maniera definitiva dallo Stato della Chiesa. La città continuò a essere in mano allo Stato della Chiesa, con qualche eventuale scontro, fino all’unità d’Italia. Nella Seconda guerra mondiale divenne sede della scuola di paracadutismo e soggetta a un massiccio programma di bonifica (cominciato col fascismo) che contribuì alla sua rinascita dal punto di vista agricolo attirando un’ingente immigrazione interna.
Focus narrativi
Le prime notizie di Albanesi a Corneto, cioè Tarquinia, risalgono al periodo in cui Pio II era papa metà XV secolo: scriveva infatti ad Aldobrandino II Orsini che un “certo uomo albanese […] ha incendiato nel territorio cornetano una gran quantità di frumento e poi di aver trovato rifugio, con la fuga, nel tuo castello dove tuttora si trova”. Sappiamo che dalla fine del Quattrocento andarono ad abitare a Corneto molte famiglie Albanesi, prevalentemente soldati cui si aggiunsero altre famiglie in maniera progressiva. Nel secolo successivo gli statuti asseriscono che la comunità dovesse assicurare la disponibilità per qualsiasi forestiero di stabilirsi in città assicurandogli terreno sufficiente a costruire una casa e piantare una vigna, la possibilità di possedere dieci vacche e cinquanta pecore insieme all’esenzione fiscale per la durata di un decennio. Diverse sono le testimonianze riguardo a una compagnia di militari albanesi: Flaminio Delfino, colonnello dell’esercito Pontificio, arrivò a Corneto per ristabilire la società dei militi lancieri del capitano Elia Caputio albanese. Nella stessa data venne dato un ordine al colonnello relativo alla dislocazione delle truppe pontificie nello Stato della Chiesa e tra queste dislocazioni compare la Compagnia di Albanesi nello Stato della Chiesa. Sempre verso la fine del Cinquecento, in una lettera si evince la venuta di una compagnia di soldati albanesi a Corneto capitanati sempre da Elia Caputio i quali una volta arrivati avevano cominciato a mancare di rispetto a tutti al punto che la comunità chiese un allontanamento, altrimenti sarebbero potuti nascere disordini. Anche perché gli albanesi volevano che la comunità provvedesse loro di 40 o 50 rubia d’orzo, il che risultava impossibile visto che a Corneto di orzo non ce n’era. Il passo successivo fu quindi quello di rubare nei magazzini il cibo senza tralasciare quant’altro vi trovassero. Col passare del tempo vennero integrati nel tessuto sociale e dalle genealogie delle famiglie di Corneto risultano ancora oggi cognomi di origine greca, come Anastisi, Teofili, e cognomi di origine albanese. Addirittura, a Tarquinia esiste un quartiere storico conosciuto come “Zinghereria” per gli albanesi che vi abitavano.
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L’ingresso principale della città è la Barriera di San Giusto, costruito all’inizio del XX secolo al posto della vecchia porta. È qui che inizia la via principale della città, Corso Vittorio Emanuele, all’inizio del quale c’è Palazzo Vitelleschi. da qui si giunge alla piazza principale della città, con la Torre del Municipio del X-XI secolo. Precedentemente sul sito del Corso e sulla piazza si trovavano le mura, i confini della città sono stati ampliati e questa parte del recinto è stata smantellata, ma la Torre del Municipio è rimasta immutata. Una delle principali attrazioni della città è la chiesa di Santa Maria in Castello. Complesso architettonico che comprende due torri, alte e potenti, austera all’esterno ed elegante all’interno, decorata con motivi famigliari dei Cosmati. Una volta qui sorgeva il castello fortificato associato al nome di Matilde di Canossa, una dei pochi esempi di donne al comando in un esercito nel periodo medievale e protagonista indiscussa delle vicende storiche dell’Italia centrale in epoca medievale. Nella parte opposta della città si trova la chiesa di San Giovanni di Gerusalemme del 1182, appartenente all’Ordine di Malta in cui è visibile la Pietà di Piermatteo d’Amelia, discepolo di Filippo Lippi. Il sistema difensivo di Tarquinia è perfettamente conservato e ben visibile intorno all’abitato. Risale al periodo medievale ed è una delle ricchezze artistiche che la città offre ai suoi visitatori.
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A testimonianza del grande passato degli etruschi non è rimasta solo la magica e famosa Necropoli. Il pianoro più interno e parallelo a quello della Necropoli, la Civita, suscita ancora stupore rilasciando le impressioni di quel passato così lontano. Qui è dove sorgeva la città, due pianori uniti da uno stretto istmo dove si sono svolti diversi scavi. L’archeologo Pietro Romanelli ha messo in luce il profilo della città etrusca nella prima metà del secolo scorso, scoprendo il circuito delle mura che unisce il Pian della regina con l’imponente santuario dell’Ara della Regina fino al pianoro occidentale che conserva i resti di edifici dell’abitato. È presente il santuario dell’Ara, tempio di enormi dimensioni che permette di immaginare il ruolo di Tarquinia all’interno dell’Etruria. Grazie ai progressi degli scavi si è creata l’idea che fosse venerato Tarconte, l’eroe fondatore della città di cui resta probabilmente il cenotafio tra due piattaforme in blocchi squadrati. L’ara era sicuramente riccamente decorata, ma i resti che possiamo ammirare sono pochissime. Fra questi c’è la lastra dei Cavalli Arati, oggi conservata al Museo archeologico nazionale Tarquiniese. Si parla di un altorilievo costituito da una coppia di cavalli alati di profilo, davanti a una biga della quale resta solo uno spezzone del timone. Il gruppo era utilizzato come rivestimento del tumulo di sinistra del tempio. L’unica porta monumentale finora scoperta nelle mura conduce con leggera salita all’interno della città e porta il nome del suo scopritore, Romanelli.
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I resti della storia medievale della città di Tarquinia sono tutti conservati all’interno della sua antica cerchia muraria, ancora riconoscibile e parzialmente integra. Sono conservate ben cinquanta caseggiate, chiese e torri, anche se buona parte di queste non facilmente riconoscibili, visto che sono state tagliate all’altezza degli antichi palazzi. Tutte queste costruzioni risalgono ai secoli del Basso Medioevo. Le chiese sono prevalentemente in stile romanico, anche se buona parte di queste sono state soggette a interventi in epoca barocca che ne hanno modificato lo stile architettonico. Di queste chiese, diverse risultano piuttosto importanti – Santa Maria di Castello, San Francesco, San Giovanni Battista – ma la più importante è senza dubbio il Duomo di Santa Margherita. Di origine romanica, ricostruito dopo un incendio, il Duomo di Santa Margherita secondo la tradizione conserva una reliquia: il bracco di San Secondiano. Una matrona avrebbe infatti rubato questo arto dalle spoglie del santo mente era in corso una traslazione della sua salma verso Tuscania, fatto che portò a diversi scontri, mai di grandi dimensioni. Altro elemento di spicco di epoca tardo-medievale è palazzo Vitelleschi. Realizzato in parte su strutture preesistenti su commissione del cardinale Vitelleschi, è oggi sede del Museo Archeologico Nazionale. Presenta nella facciata sia elementi gotici che rinascimentali a testimonianza del lavoro di due diversi architetti e del passaggio al nuovo stile che in quegli anni si stava diffondendo. All’interno è presente una cappella a pianta rettangolare e copertura a volta, insieme a un’Anticappella utilizzata come studiolo dal Vitelleschi.
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Cicerone narra che, in quel di Tarquinia, un contadino che stava arando un campo nei pressi del fiume Marta vide una zolla sollevarsi dal solco e assumere le sembianze di un fanciullo. Il fanciullo venne chiamato Tagete ed era dotato di una grande saggezza oltre che di virtù profetiche (per questo viene raffigurato coi capelli bianchi a volte). Visse solo il tempo necessario per insegnare agli Etruschi l’arte di predire il futuro, scomparendo qualche ora dopo la sua incredibile apparizione. Le norme da lui dettate vennero trascritte e raggruppate in tre serie di libri sacri: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali. Questi ultimi comprendevano anche i Libri Acherontici, i quali permisero di mettere in luce i due punti essenziali della religione etrusca: l’importanza della divinazione, la quale permetteva di interpretare la volontà degli dèi, e la necessità di istituire un preciso rituale per ogni circostanza della vita. A questo erano preposti i sacerdoti, casta privilegiata la cui carica veniva trasmesso di padre in figlio. Sono presenti, comunque, altre leggende relative alla città di Tarquinia. Quelle più caratteristiche si rifanno a Villa Bruschi Falgari, villa dotata di un fascino piuttosto antico, chiusa da cancelli cigolanti che aprono a un giardino vasto e la strada centrale che porta alla villa in puro fascino horror. La storia dice che, se ci si affaccia al cancello che permette di scorgere la villa in lontananza, è possibile notare la presenza di una giovane donna in abiti ottocenteschi intenta a curare sulla loggia esterne le piante con l’annaffiatoio. Sempre rimanendo sugli avvistamenti, è tramandato il ricordo nei primi anni dello scorso secolo di una giovane donna in abito da sposa bianco che di notte girovagava per le strade di campagna sulle sponde del fiume Marta, poco oltre l’attuale svincolo per la strada verso Tuscania.
Spunti videoludici
Tarquinia ha un potenziale videoludico molto forte. È un paese rialzato di 133 metri rispetto alla pianura che lo circonda il che lo rende adatto a inscenare momenti bellici di assedio e più in generale scontri o invasioni provenienti dal mare, vista la sua vicinanza al Tirreno. Il suo passato permette di creare videogiochi storici molto interessanti, soprattutto sfruttando i rapporti fra Roma e gli Etruschi. Dal punto di vista puramente scenico, non ha nulla da invidiare ad altri borghi più famosi dell’Italia, essendo circondata da mare, fiumi e boschi e vantando edifici caratterizzati da architetture sia romane che gotiche. Essendo inoltre una città relativamente piccola, può essere usata in un videogioco come base operativa da cui far partire missioni, spedizioni, esplorazioni e così via. In un videogioco soulsike può fungere da scenario perfetto, sia per la grandezza sia per le sue caratteristiche di borgo medievale dotato di torri, chiese, ciottoli e vicoli.