Descrizione
A Fornò, nel cuore della campagna forlivese, sorge il Santuario di Santa Maria Delle Grazie, o Santuario di Fornò. Fondato nel XV secolo da Pietro Bianco da Durazzo, questo edificio spicca per l’originale forma circolare della pianta piuttosto insolita per i canoni architettonici di quel tempo dedicati alla Vergine.
L’impianto è costituito da un’ampia struttura architettonica col presbiterio chiuso da una muratura cilindrica, sormontata da una cupola ottagonale e circoscritta da un deambulatorio. Il diametro della pianta misura trentaquattro metri. Si può dire con certezza che il suo fondatore abbia dedicato gran parte della sua vita alla cura e alla crescita del Santuario: per diversi secoli ha potuto godere infatti di grande notorietà, attirando anche l’interesse di papi e intellettuali. Nonostante i quasi due secoli di decadenza che susseguirono tra il Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, il Santuario viene letteralmente salvato dalla volontà dei fedeli cittadini forlivesi e dall’aiuto economico offerto dal papa imolese Pio IX. Al giorno d’oggi nel Santuario vengono celebrate le canoniche funzioni cristiano-cattoliche e svolte diverse attività religiose.
Cenni storici
Il nome di Pietro Bianco da Durazzo compare per la prima volta nella “Cronaca” di Giovanni di Mastro Pedrino, pittore e cronista forlivese del basso Medioevo.
Viene descritto come un eremita vestito di bianco giunto a Forlì nel 1448 dall’Albania.
Entro le mura urbane, presso l’attuale Porta Cotogni, edifica una celletta dedicata a Santa Maria delle Grazie, detta anche “Celletta dello zoppo” per l’andatura claudicante di egli stesso.
Successivamente, migra nella nuova località dove nel 1450 fonda il Santuario di Fornò. Partendo dalla realizzazione di un piccolo oratorio, la struttura inizia a prendere la forma della grande pianta centrale circolare. In particolare, l’ampliamento consiste nell’edificazione del deambulatorio esterno, coperto da una singolare e gravosa volta anulare. Tale struttura, però, presenta fin da subito chiari segni di cedimento strutturale, a tal punto che nel secolo XVI viene sostituita.
Le cronache attribuiscono la morte dell’eremita, avvenuta il 6 aprile 1477, giorno di Pasqua, al dispiacere derivato dal vedere la volta in precarie condizioni statiche e temendo la rovina dell’intera chiesa. Dopo la sua morte, il complesso viene affidato alla Congregazione Lateranense del Santissimo Salvatore da Pino III degli Ordelaffi, l’allora signore di Forlì.
Fino al Settecento il Santuario vive secoli di prosperità e notorietà, tanto che, in virtù dell’incremento delle rendite e dell’ampliamento dei possedimenti, il complesso si eleva a titolo di Abbazia e viene considerato uno dei più ricchi d’Italia. La successiva fase di decadenza è dovuta sia per cause naturali, come terremoti e inondazioni, sia per abbandono, mancata manutenzione o smantellamento di alcune aree. Questi lavori, spesso stabiliti dagli stessi gestori del momento, vengono arrestati verso la metà del XIX secolo. Infatti, nel 1829, all’ennesima decisione di abbattimento, i cittadini e alcuni autorevoli personaggi forlivesi si oppongono chiedendo la sospensione di tale atto.
Le richieste vengono accolte dal pontefice Pio IX, che ferma così i lavori di demolizione per avviare quelli di restauro.
Focus narrativi
Secondo alcune cronache del tempo, Pietro Bianco da Durazzo era un uomo robusto e scalzo a cui non interessavano i soldi. Non portava con sé né sacca, né fiasca.
Mangiava solo quello che gli veniva offerto dalle case, ma non andava a cercare cibo se non quando i morsi della fame diventavano insopportabili. Indossava un vestito bianco e dormiva su una tavola d’abete.
La figura di questo romito albanese ha solleticato molto l’immaginario dei forlivesi del suo tempo e dei posteri. Con molta probabilità, il mito del “bianco” devoto nacque in epoca tarda, con le cronache cittadine seicentesche, che ripresero e reinterpretarono quelle di fine Medioevo. L’interpretazione più in voga lo dipingeva come un feroce e spregiudicato pirata venuto da Durazzo, pentito e convertito in seguito a un’illuminazione divina. Storicamente è possibile affermare che non era infrequente in quel periodo conoscere in Italia persone emigrate dall’Albania, soprattutto come profughi di guerra. Difatti, verso l’inizio del Quattrocento i Turchi invasero e conquistarono i Balcani, portandosi dietro devastazioni e massacri che coinvolsero anche uomini di chiesa.
Le cronache medievali, attente a ciò che succedeva sulla sponda opposta dell’Adriatico, narrano di una battaglia nei pressi di Durazzo del 1389, detta “Battaglia della Piana dei Merli”, in cui l’esercito cristiano venne pesantemente sconfitto dai turchi musulmani. I fuggitivi spesso avevano come meta l’Italia. È dunque verosimile che Pietro “il Bianco” non fosse un pirata, bensì un monaco cristiano ortodosso scampato alla persecuzione ottomana. Un uomo di grande cultura e di conoscenza teologica.
D’altro canto, in Italia le principali corti accoglievano positivamente i dotti bizantini, come filosofi e teologi, in quanto possedevano la conoscenza del greco, una lingua che si stava perdendo. Dunque la leggendaria figura piratesca convertita a illuminato religioso potrebbe essere storicamente un monaco dotto, protetto e finanziato dagli Ordelaffi.
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La vita al Santuario si intrecciò anche con quella dei papi dell’epoca. Papa Giulio II e il suo esercito vennero ospitati a Fornò il 9 ottobre 1506, durante la marcia verso nord per riconquistare Bologna. Anche sulla via del ritorno a Roma, dopo la resa dei bolognesi, il 27 febbraio 1507 il Pontefice decise di sostare nuovamente presso i monaci del Santuario, concedendo privilegi e indulgenze. Queste visite sono ricordate da un affresco posto a lato dell’arco d’ingresso del presbiterio, in cui è presente il Papa stesso, e da due iscrizioni poste nel muro dell’edicola del tempio.
In seguito ad alcune opere di demolizione attuate a inizio Ottocento, oggi non resta quasi nulla del complesso conventuale che comprendeva anche le stanze in cui alloggiò.
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Tra le diverse sventure che il Santuario dovette affrontare ci fu l’ultima segnata dai tedeschi verso la fine della Seconda guerra mondiale.
Il giorno prima della liberazione di Forlì, l’8 novembre 1944, i soldati tedeschi in ritirata minarono tutti i campanili e le torri della zona per evitare che l’artiglieria inglese li usasse come riparo dai cannoni. Testimonianze raccontano che, al momento dell’esplosione, il campanile di Fornò si sollevò per aria per poi cadere giù franando su se stesso. Nell’archivio parrocchiale si trovano tuttora le foto che immortalano l’evento. Assieme al campanile crollò parte della canonica, il passaggio che collegava la canonica al balcone dell’organo e l’antica e ricca sacrestia. Il campanile non è stato più ricostruito, mentre la canonica è stata terminata nel 2006, riprendendo l’antica struttura.
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Esistono diverse ipotesi e nessuna certezza sulla toponimia di Fornò. Secondo alcuni intellettuali del tempo, il toponimo deriverebbe dalla corruzione di Forum Novum, ovvero Foro Novo. Ad obiettare l’ipotesi di un luogo adibito a mercato è l’architetto ingegnere Giacomo Santarelli: in una memoria storica del 1857 sostiene che a quel tempo la zona era a uno stato selvaggio e boscoso, come potrebbe provare il nome della vicina località di Villa Selva.
Altri ancora ipotizzano che Fornò non sia altro che l’abbreviazione del paese accanto Forniolo.
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La famiglia degli Ordelaffi fu signoria di Forlì tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XVI, di probabile origine germanica o veneta. Le prime e incerte notizie risalgono alla fine del XI secolo, in cui emergono come ghibellini nella vita comunale. Poterono vantare di una corte di tutto rispetto, frequentata anche dai maggiori intellettuali dell’epoca: tra gli ospiti più noti si ricordano Dante e Boccaccio.
Francesco II degli Ordelaffi, detto il Grande, è uno dei più noti della casata: un uomo spregiudicato e audace, che formò un forte Stato in Romagna ponendo Forlì al centro.
Ebbe molte controversie con la Chiesa fino a quando non intervenne il cardinale Albornoz, costringendolo a sottomettersi nuovamente allo Stato Pontificio, dopo un lungo assedio della città. In tutto l’arco di esistenza della signoria, gli Ordelaffi continuarono ad avere disaccordi con la Chiesa e momenti drammatici di lotte e delitti.
A questo proposito, proprio Pino III degli Ordelaffi viene spesso inquadrato storicamente come un personaggio sinistro e “facile al veleno”. Nonostante ciò, Pino III fu un nobile molto attento alle arti e alle lettere: non stupisce, quindi, se un personaggio come il devoto di Durazzo abbia potuto godere della sua protezione.
Spunti videoludici
È quasi sorprendente vedere ancora eretto il Santuario, dopo tutte le sfide e le minacce subite nel corso dei secoli. L’imponente edificio potrebbe diventare l’oggetto centrale di un tower defense, ricalcando lo spirito difensivo di quei cittadini e uomini di chiesa che hanno voluto con tutte le loro forze l’esistenza di questo luogo di culto.
Il fondatore Pietro Bianco da Durazzo, una figura a metà tra il reale e il leggendario, può diventare facilmente un personaggio dal carattere insolito e misterioso all’interno di un’avventura grafica.
Allargando poi il campo attorno all’eremita, la situazione politico-sociale nei Balcani e in Italia, nonché la figura di Pino degli Ordelaffi, si prestano bene a un videogioco strategico alla Reigns: Game of Thrones, in cui le scelte di tipo politico, economico e sociale influenzano la vita fuori e dentro la corte.
Fonti e link
[Bibliografia]
– Garavini L., Studi inediti sul Santuario di S. Maria Delle Grazie di Fornò, in “Il complesso ecclesiastico di Santa Maria delle Grazie di Fornò: analisi delle fonti dirette ed indirette per un progetto consapevole di risanamento e conservazione della rotonda”, tesi di laurea in Ingegneria edile – architettura, Università degli Studi di Bologna, 2015;
– Gori M., Il Santuario di S. Maria Delle Grazie a Fornò e i dipinti dei suoi altari, in “Forlimpopoli”, Vol. 16, 2005, pp. 115-138;
– Rasi R., Dalle memorie di G. B. Mambelli: Il Santuario di Fornò e il restauro del 1853-1857, in “Forlimpopoli”, Vol. 17, 2006, pp. 165-186;
[Sitografia]
Sapere.it
Forlitoday
Santuario di Fornò