Sant’Anna di Stazzema

Descrizione

La frazione di Sant’Anna è composta da una piccola chiesa cinquecentesca e da una manciata di case, sparse sulle alture delle Alpi Apuane meridionali, ognuna con un proprio nome che ne individuasse l’area. I borghetti di edifici sono raggiungibili attraverso un’unica strada panoramica che si inerpica tra le colline, mentre a piedi si possono utilizzare alcune mulattiere che collegano Sant’Anna a centri abitati circostanti. Un tempo casa di circa 400 persone, in seguito all’eccidio nazifascista del 1944 il paese non si è mai ripopolato, se non per una trentina di abitanti, alcuni dei quali vi si recano durante le vacanze estive. Nel dicembre del 2000, a eterna memoria dell’evento e affinché simili atrocità non si ripetano, è stato istituito il Parco Nazionale della Pace, presso cui vengono organizzate iniziative volte all’educazione dei giovani alla pace, alla libertà, e alla giustizia.

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Cenni storici

Sant’Anna nasce nel XVI secolo come alpeggio del vicino comune di Farnocchia, incorniciato dai monti Gabberi, Lieto, Rocca e Ornato. I casolari, nelle cui stalle riposava il bestiame in transumanza, venivano identificati grazie a nomi specifici: Merli, Coletti, La Chiesa, Valle Cava, Sennari, Fabbiani, Bambini, sono solo alcuni di questi. Il paese traeva sostentamento principalmente dai prodotti a base di farina di castagne, mentre altre risorse derivavano dall’allevamento di mucche, maiali e pollame, nonché dalla coltivazione di piccoli appezzamenti. Remunerativa era l’attività mineraria, in quanto nella zona erano reperibili diverse pietre, tra cui pirite, magnetite e minerali ferrosi. Intorno alla metà del Settecento, circa 30 famiglie popolavano l’alpeggio, e alla fine del secolo si contavano quasi 200 abitanti. Dal 1930 questi erano saliti a circa 400, e nel paese era stato adibito un edificio a scuola e pronto soccorso. Dal 1943 gli abitanti aumentarono progressivamente, con la salita degli sfollati verso i paesi apuani, situati in quota e per questo ritenuti più sicuri. Invece, la mattina del 12 agosto 1944, ebbe inizio l’azione terroristica nazifascista, con l’obiettivo di inibire ogni volontà di resistenza partigiana. Tre colonne di soldati accerchiarono il borgo, sbarrando ogni via d’uscita verso valle; rastrellarono chiunque dalle abitazioni, senza risparmiare nessuno; in tarda mattinata giaceva sul piazzale della chiesa un cumulo di almeno 560 corpi in fiamme. Tre anni più tardi, un monumento-ossario venne eretto sul colle per raccogliere tutti i resti delle vittime, riportando i nomi di chi era stato possibile identificare. I responsabili della strage restarono impuniti e per 50 anni i fascicoli relativi ai crimini di guerra nazifascisti di tutta Italia restarono occultati, nel cosiddetto “Armadio della Vergogna” a Palazzo Cesi di Roma.

Focus narrativi

Nonostante gli incendi appiccati in tutti i casolari del paese, alcuni oggetti sono sopravvissuti al fuoco, e a distanza di oltre 70 anni, continuano ad esistere come simboli di quelle vite normalissime, interrotte brutalmente nel giro di poche ore. In particolare, fu la superstite Leopolda Bartolucci a raccogliere cose e ricordi appartenuti a lei e ai suoi compaesani. Raccolse nei suoi quaderni svariate fotografie, tra cui quelle molti di bambini, coi nomi e le parentele, e quella del fidanzato, teneramente ritagliata a forma di cuore. Gli oggetti che Leopolda conservò fino all’istituzione del Museo della Resistenza, sono diversi: un orologio fermo; il cappello bruciato e la scarpa ortopedica di suo padre, che rimase a casa convinto di non interessare ai tedeschi in quanto anziano e privo di due dita dei piedi; il vestito delle feste della diciannovenne Albertina Mancini, catturata e fucilata mentre tornava di corsa per recuperare l’abito, insieme alla foto del fidanzato ancora in guerra; la bambola di Maria Franca Gamba, bambina di 2 anni, che la tenne stretta fino alla morte.

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A Sant’Anna è presente un luogo in cui è possibile ripercorrere il biennio 43-45 in Italia, con una particolare attenzione rivolta alla Toscana e alla Versilia: è il Museo della Resistenza, istituito nel 1982 e inaugurato dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Esso si trova in quelle che prima del 1944 erano le scuole elementari, ed è strutturato come percorso libero, aperto, così che il visitatore possa individuare delle corrispondenze tra gli eventi narrati, i luoghi in cui avvennero e le personalità coinvolte. Sono esposte testimonianze dei superstiti, documenti, fotografie, avvisi pubblici originali, opere pittoriche e scultoree; i temi toccano l’occupazione nazista in generale, la Resistenza, le stragi nazifasciste e la storia dell’eccidio, a partire dal 12 agosto 1944 fino alla conclusione del processo nel 2005. È presente anche una raccolta di testi consultabili riguardanti il periodo 1940-1945, le vicende belliche avvenute nel territorio versiliese, e le stampe anche internazionali su quella che fu la difficile lotta per avere verità e giustizia.

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Distribuito sulla collina tutt’intorno al paese di Sant’Anna, il Parco Nazionale della Pace persegue dal dicembre del 2000 l’obiettivo di diffondere una cultura di pace, solidarietà e rispetto reciproco. Questo attraverso iniziative anche internazionali quali manifestazioni, esposizioni, convegni, ed ovviamente anche mediante l’esperienza di visita al Parco: esso emerge dal bosco di Sant’Anna e ne pervade gli spazi e le vie, come i sentimenti e le consapevolezze che vuole trasmettere, a partire dal Museo Storico della Resistenza per arrivare, attraverso una particolare Via Crucis con partenza dalla Chiesa, al Monumento Ossario posto sulla sommità del Col di Cava. La Via Crucis è impreziosita da formelle bronzee realizzate da vari artisti che mettono in relazione le sofferenze di Cristo a quelle delle 560 vittime dell’eccidio, e più in generale, alle vittime innocenti di ogni violenza. Il Monumento Ossario, progettato da Tito Salvatori nel 1948, si mostra improvvisamente alla fine del percorso, in quanto prima resta seminascosto dalla vegetazione. La torre di pietra è alta 12 metri, e sul suo basamento si trova una scultura di Vincenzo Gasperetti in cui una giovane madre appena uccisa, con i grandi occhi sbarrati, cinge a sé un neonato in lacrime. Le bandiere di ogni stato europeo percorrono il viale d’accesso al monumento, come simbolo di unione e dialogo tra ogni popolo.

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Nel luglio del 2020, i superstiti dell’eccidio Enio Mancini ed Enrico Pieri sono stati insigniti del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania”. Il valore di questo gesto è, per Pieri, duplice: da una parte il riconoscimento dell’evento di Sant’Anna, dall’altra la conferma dell’importanza insita nella diffusione della memoria. Enio, quel 12 agosto, aveva 6 anni e viveva con la famiglia a Sant’Anna; i soldati, dopo aver fatto irruzione, fecero addossare un centinaio di persone contro un muro, tra cui Enio: puntarono le mitraglie, ma al momento di sparare venne dato ordine di spostarli a Valdicastello. Il giovanissimo soldato tedesco a cui venne affidato l’incarico di trasferirli, però, una volta rimasto solo fece loro cenno di stare in silenzio e scappare, e dopo che si furono allontanati sparò delle raffiche in aria, salvandoli. Dopo oltre un mese passato senza mangiare, con poca acqua, nascosti nelle grotte, arrivarono gli Alleati: il cioccolato offerto a Enio da un americano segnò per lui l’inizio della libertà. Enrico, che presiede l’Associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema, si salvò nascondendosi nel sottoscala, mentre nella stanza attigua, scariche di mitra massacravano la sua famiglia e quella dei vicini Pierotti. Una volta incendiata la casa, scappò tra le piante di fagioli rimanendoci per ore, fino a che la strage non fu conclusa, e nell’aria si diffondeva l’odore di carne bruciata.

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Nel 2002, lo scrittore statunitense James McBride pubblica un romanzo dal titolo Miracolo a Sant’Anna, che sei anni dopo diventa un film sotto la direzione di Spike Lee. Essendo un prodotto liberamente ispirato alle vicende realmente accadute, non rispetta con fedeltà la vera storia della strage e ciò, dopo la sua uscita in Toscana nel 2007, aveva suscitato preoccupazioni da parte dell’ANPI, l’associazione dei partigiani italiani, i quali temevano che un prodotto capace di una risonanza mondiale avrebbe corrotto la memoria, stravolgendo la realtà dei fatti. Il regista, in un’intervista sull’argomento, chiarisce che i suoi scopi con questo film erano riportare all’attenzione i fatti di Sant’Anna, e puntare i riflettori sugli afro-americani che combatterono in quella guerra. Consultato sull’argomento, il Procuratore Militare Marco de Paolis, che per 15 anni si occupò di far processare i nazifascisti dopo l’apertura dell’Armadio della Vergogna, non si pronuncia sul prodotto di fantasia, ma ribadisce una cosa: la strage non fu una rappresaglia, fu un atto consapevole e pianificato nei minimi dettagli, con l’obiettivo di terrorizzare i cittadini affinché non aiutassero i partigiani.

Spunti videoludici

Il silenzio che impregna Sant’Anna è, per metà, un ristoro per l’anima, che nella cornice dei monti apuani trova pace e rallenta, seguendo il ritmo posato della riflessione, ma per l’altra metà è anormale, sbagliato, e denso di grida soffocate nella violenza di quel 12 agosto. Una natura così agrodolce, che parla in silenzio, rappresenta lo spunto ideale per un’esperienza in prima persona, che si tratti di un walking simulator o di un racconto dall’intenso impatto psicologico. Volendo concentrarsi sugli eventi bellici, magari dal punto di vista dei soldati che dovevano “obbedire agli ordini”, si potrebbe organizzare uno sparatutto in prima o terza persona, con scelte morali di un certo peso che inducano alla meditazione di quanto visto o fatto, come in Spec Ops: The Line, o una visual novel sul tema della memoria.

[Bibliografia]

– De Simonis, P., Guida ai luoghi delle stragi nazifasciste in Toscana, Roma, Carocci, 2004;
– Giannelli, G., Versilia, la Strage degli Innocenti, Edizioni Versilia Oggi, 1997.

[Sitografia]

Sito di Sant’Anna
Comune di Stazzema
Gli oggetti delle vittime
ANPI

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