Descrizione
Sita a nord del centro storico di Reggio Emilia, Santa Croce è un’antica frazione che prende il nome di una delle porte della città. Malgrado l’omonimia, la zona non coincide con quella adiacente e interna al centro storico, denominata similmente Santa Croce Interna. Sul suo territorio Santa Croce ospita le Officine Meccaniche Reggiane, inaugurate nel 1901 e finalizzate alla produzione di materiali per le ferrovie e proiettili di artiglieria. Il quartiere ospita una moltitudine di voci e di realtà, e la sua vibrante vita è stata scandagliata e raccolta come parte di un progetto di valorizzazione finalizzato alla conservazione della memoria dei cittadini del posto, promosso da Collettivo Reggian* e Dinamico Festival.
Cenni storici
Inizialmente il quartiere era un insediamento rurale nato dalla separazione di due territori parrocchiali, quello di Ospizio e quello di Mancasale, avvenuta nel 1914. Tra gli eventi memorabili che segnano la vita della frazione, se ne ricordano alcuni in particolare: il primo atterraggio di un velivolo nell’aereoporto della città, Campo Volo, avviene nel 1912, sulla base di strisce d’erba utilizzate in prestito dall’ippodromo locale con l’appoggio delle Officine Reggiane; queste fanno grande uso dell’aereoporto per testare sul campo alcuni velivoli o motori, e tra il 1931 e il 1932 si tengono memorabili esibizioni ed avvenimenti celebrativi in occasione dell’inaugurazione di un aereoporto di fortuna; numerosi i concerti che l’aereoporto ha poi ospitato dagli anni ’80 ai giorni nostri; il 28 luglio 1943 ha luogo nelle Officine Reggiane un eccidio ai danni di nove operai che manifestano per chiedere la fine della guerra.
Focus narrativi
L’eccidio del 1943 avvenne a seguito di un crescendo di tensioni. L’azienda delle Officine Reggiane, strategicamente rilevante per i fascisti, veniva agitata di nascosto da svariati attivisti antifascisti malgrado lo stretto controllo del regime. Svariati i deliberati atti di propaganda anti-regime: tra manifesti e poster diffusi sottobanco, falci e martelli incise sui macchinari e qualche voce di corridoio. Il 28 luglio nove operai, tra cui una donna incinta (tali Antonio Artioli, Vincenzo Bellocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisendi, Gino Menozzi, Osvaldo Notari, Domenica Secchi e Angelo Tanzi) manifestarono per la pace malgrado le disposizioni approvate dal governo Badoglio, che proibivano assembramenti di persone e manifestazioni pubbliche. Proprio quando dalle Officine numerosissimi colleghi accorrevano per prendere parte alla protesta, uno schieramento di bersaglieri aprì il fuoco sui nove e li uccise. A seguito del tragico evento, alcuni esponenti delle Officine parteciparono attivamente alla costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale.
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A seguito di un’ondata di oltre 2100 licenziamenti, negli anni ’50 le Officine Reggiane furono luogo della più grande occupazione operaia della storia del paese: durò circa un anno intero, e si chiuse solo con la liquidazione forzata dell’azienda. Intento degli occupanti era dimostrare che le Officine potessero essere riqualificate e finalizzate alla produzione di macchinari agricoli anziché bellici. Non è un caso che durante l’occupazione molti dei lavoratori parteciparono alla costruzione e al collaudo di un trattore cingolato. Agricoltori e commercianti delle zone vicine, per dimostrarsi solidali agli occupanti (che per oltre un anno non ricevettero stipendio) donarono a lungo viveri e beni di prima necessità per sostenere il grande sciopero. Furono proprio i nuovi cingolati a guidare il corteo che concluse, nel ’51, la grande occupazione. 700 operai furono riassunti, ma lo scopo dell’operazione non fu raggiunto del tutto.
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Numerosissimi gli importanti concerti ospitati dall’aereoporto Campo Volo: nell’82 i King Crimson, nel 1983 Vasco Rossi, i Clash nel 1984, Lucio Dalla nel ’91, i Black Sabbath e Venditti nel ’92, numerosissime star di fama internazionale e nazionale che anno dopo anno resero il luogo un punto di riferimento per la scena musicale di tutto il paese, rilevante anche a livello europeo.
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Come parte del progetto di riqualificazione del quartiere, nel 2018 è stato proposto l’abbattimento del muro che per venti anni ha diviso il quartiere dal resto di Reggio Emilia. I residenti hanno più volte accusato il muro di aver ‘ghettizzato’ il quartiere, già in una situazione critica dal punto di vista dell’integrazione di comunità extracomunitarie eterogenee, e di volta in volta svariati sindaci hanno proposto il suo abbattimento. Pare però che la sua vita sia stata di volta in volta salvaguardata, tra un passaggio di giunta e l’altro, da una serie di norme burocratiche da rispettare o osservare. La nascita del muro si deve a motivi di viabilità: posto dinnanzi a un eventuale senso unico, questo impedisce che si crei una via troppo comoda e breve per la circonvallazione, che andrebbe a far confluire un traffico che la strada non è pronta a ricevere.
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Il quartiere ospita una grande quantità di extracomunitari, che da una parte hanno dato vita a una vibrante comunità più o meno integrata nel contesto sociale, e promulgatrice di eventi collettivi che mirano all’inclusione e all’abbattimento di barriere e pregiudizi; dall’altra ha invece inasprito l’atteggiamento di alcuni cittadini meno propensi all’accoglienza e all’accettazione della diversità, i quali tutt’oggi non sono disposti a scendere a compromessi con la trasformazione che il loro ambiente sta attraversando. Tra i cittadini più anziani è diffusa una forte nostalgia per la forma e i ritmi che il quartiere aveva prima degli anni Duemila: un rimpianto che si tinge a volte di rancore, e che non viene condiviso né compreso dai concittadini extracomunitari, attivi nelle proposte di nuove occasioni d’incontro e scambio (come la festa conclusiva del Ramadan annuale, cui vengono invitati tutti i cittadini della frazione). Come contraltare, l’aumento della delinquenza e della morosità trova nello scetticismo e nell’ostilità di alcuni abitanti un terreno fertile, che non può che inasprirsi dinnanzi a ogni nuovo caso di cronaca.
Spunti videoludici
L’importanza storica delle Officine Reggiane è ribadita dal loro peso politico quanto dalle tensioni che hanno attraversato: l’eccidio, l’attività bellica, il grande sciopero sono tutti momenti che meriterebbero di essere ripercorsi in chiave videoludica, separatamente quanto come parte di un unico percorso raccordato da un tema o da alcuni protagonisti comuni. Affascinanti, a livello iconografico e ludico, il corteo al termine dello sciopero, l’organizzazione interna degli operai costretti a rimanere dentro l’edificio per un anno intero, la costruzione e fabbricazione di armamenti trasformata in una catena di montaggio finalizzata alla produzione di mezzi agricoli, le papabili tensioni politiche che hanno portato infine all’eccidio del ’43.
In quanto incubatrice di una realtà contraddittoria e non sempre positiva, Santa Croce si offre come microcosmo sociale di storie e relazioni umane, situato all’ombra del muro (elemento visivo e narrativo importante in una contemporaneità sempre più costellata di muraglie e barriere) che la divide dal resto della città. In questo senso l’opera di Collettivo Reggian* e Dinamico Festival di archiviazione e registrazione del vissuto cittadino, tramite quella che potremmo definire una mappatura delle storie e delle voci del quartiere, sembra offrirsi come strumento essenziale per una ricostruzione di una pluralità vibrante e conflittuale, che può adesso diventare terreno fertile per incontri virtuosi, adesso invece luogo di scontro tra pregiudizi e rivalità.