Rocca delle Caminate

Descrizione

La Rocca delle Caminate, non distante da Forlì e a soli 4 km di distanza da Predappio, ha una lunga storia che affonda le sue radici addirittura in epoca romana. La sua fama è però dovuta al fatto che, durante il ventennio fascista, divenne residenza estiva di Benito Mussolini. A oggi il luogo è adibito a centro di Alta Formazione e ospita congressi e conferenze, ed è risultato di lunghi interventi di riqualificazione degli spazi e di valorizzazione. Sulla sommità della torre della rocca è presente un faro installato nel 1927 per volere di Mussolini, oggi al centro di varie polemiche per una possibile riaccensione da parte della Provincia.

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Cenni storici

La Rocca sorge su un fortilizio romano. Se ne hanno le prime notizie nei pressi dell’anno Mille, in cui viene chiamata con un nome simile a quello di adesso, ‘Caminatari’ e ‘Caminate’, ma anche ‘Montis Tetti’. Ciò probabilmente in onore dell’allora proprietario Ambrone delle Caminate, il cui figlio ereditò la Rocca nel 1116. I Belmonte, ribellandosi all’autorità imperiale, se ne impadronirono nel 1120, causandone la distruzione da parte di Corrado II, che li costrinse a scappare e mise a ferro e fuoco l’edificio. I forlivesi lo distrussero di nuovo due anni più tardi, dopo che un intero anno era stato speso da Guglielmo Belmonte per la sua ricostruzione. Tornò ai Belmonte nel 1235. Il braccio di ferro tra la famiglia e i forlivesi però non finì: la rocca fu nuovamente assediata e distrutta qualche anno più tardi, grazie anche all’aiuto dei faentini. Passò a Sinibaldo Ordelaffi nel 1380 dopo essere stato ricostruito per l’ennesima volta nel 1248. Sinibaldo operò un massiccio intervento di miglioramento dei sistemi difensivi, che nel 1387 consentì alla struttura di resistere all’attacco di suo fratello, che voleva spodestarlo da Forlì. Tornò poi ai Belmonte, e nel 1395 Ordelaffi lo espugnò. Nel 1407 i Malatesta lo ripresero al Comune di Forlì, cui Ordelaffi lo aveva annesso, e lo resero ai Belmonte. Nel 1417 passò a Carlo di Montealboddo. Gli Ordelaffi lo conquistarono di nuovo nel 1435 grazie all’intervento della Santa Sede, e lo Stato Pontificio lo affidò nuovamente ai suoi storici proprietari Belmonte. Questi però lo persero ancora contro i forlivesi, che nel 1438 furono scacciati da un secondo intervento dei Malatesta. Nel 1468 questi resero la rocca agli Ordelaffi. Pino III decise di raderla al suolo, e fu ricostruita solo dopo il 1494, passata in mano ai francesi. Nel 1503 i forlivesi la ricostruirono e fu poi conquistata dai veneti. Nel 1508 tornò alla Santa Sede. Passò quindi svariate volte di proprietà e infine arrivò alla famiglia forlivese dei Baccarini. Nel 1870 una scossa di terremoto la danneggiò gravemente e da allora per i 50 anni successivi andò incontro a un decadimento degli interni non indifferente. Tornò al suo splendore durante il ventennio fascista, durante cui fu donata a Benito Mussolini che la utilizzò come residenza estiva. Nel 1943 ospitò il primo consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1962 Rachele Guidi mise il castello in vendita. Nel 1982 iniziarono i restauri, che nel 2007 videro finalmente la rocca diventare un Tecnopolo.

Focus narrativi

Benito Mussolini volle che sulla torre fosse posizionato un faro che emetteva una luce tricolore estremamente potente, visibile a oltre 60km di distanza (quindi anche da Rimini). Tale faro doveva indicare la presenza del Duce nella sua residenza estiva. Di recente, si è dibattuto sulla possibilità di accendere di nuovo quel faro, ipotesi ritenuta offensiva e che fa parte di un discusso e più ampio sfruttamento commerciale della figura di Benito Mussolini, in atto anche nella vicina Predappio, e ai danni di una ferita ancora aperta nella cultura e nella società italiane. Il comune di Meldola dichiara di voler riaccendere il faro soltanto per attrarre i turisti, indipendentemente quindi dal valore storico e culturale della rocca, ma questo non basta a sopire il dissenso attorno alla decisione. Comunità ebraica e Anpi hanno espresso preoccupazione circa la possibilità che il faro venga riacceso, un gesto che potrebbe sancire il riassorbimento del trauma fascista nel presente della comunità Emiliano-Romagnola, favorendo anche l’insorgere di nuovi gesti eclatanti a Meldola e nel limitrofo Predappio, e dedicati alla memoria del Duce.

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Il 28 settembre 1943 la Rocca delle Caminate ospitò il primo consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana, presieduto da Benito Mussolini e finalizzato a nominare i ministri del nascente governo fascista. Fu in quello stesso periodo che la caserma limitrofa alla rocca venne utilizzata per torturare e uccidere partigiani, tra cui Antonio Carini, ucciso nel 1944 e insigne della medaglia d’argento al valor militare alla memoria.

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Catturato vicino a Meldola, Carini fu torturato per quattro giorni, ma rimanendo in silenzio venne trascinato appeso ancora vivo a un’auto fino al Ponte dei Veneziani, massacrato a colpi di pietre, pugnalato a morte e poi gettato nel Bidente. La tragica fine di Carini è menzionata anche nella medaglia che ricevette: “forte tempra di patriota e di sagace propagandista, metteva continuamente a repentaglio la propria vita nello svolgimento di importanti e delicate missioni di collegamento. Catturato nel corso di una di queste ed imprigionato, affrontava con animo stoico e sereno le più atroci sevizie e torture, senza che mai nulla di benché minimamente compromettente potesse uscire dalle sue labbra. I suoi aguzzini, esasperati per il suo spavaldo contegno, lo finivano a pugnalate. Bellissima figura di patriota e di volontario della Libertà”.

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Gli arredi appartenenti a Mussolini sono stati rimossi dalla rocca dopo la fine della guerra. La scrivania del Duce, in particolare, è stata portata al vicino Predappio ed è oggi nell’ufficio del sindaco. Poco resta dell’aspetto originario della fortezza, che andò incontro a così tante ristrutturazioni e saccheggi da cambiare continuamente forma. La ricostruzione degli anni Venti, fatta anche secondo le correnti artistiche del tempo, ne stravolse definitivamente l’antico fascino.

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Quando la Rocca fu assaltata e devastata dagli antifascisti nel 1943, si persero numerosi cimeli custoditi al suo interno. Tra questi, l’arma cerimoniale nota col nome di “Spada dell’Islam”, che un capo berbero donò a Benito Mussolini in qualità di protettore dell’Islam. Numerose le fotografie che ritraggono Mussolini con la preziosa spada, che testimonia il successo della politica di incoraggiamento della religione islamica avviata dal Duce nel 1934, che aveva portato numerose moschee e scuole coraniche a essere ristrutturate e molti altri edifici (tra cui varie strutture di assistenza per i pellegrini della Mecca) a essere costruiti. La politica filo-islamista di Mussolini era in realtà mirata a osteggiare Francia e Regno Unito. La sontuosa cerimonia che consegnò la spada al Duce si svolse nel 1937 vicino a Tripoli e fu officiata da Yusef Kerbisc. Tale cerimonia viene ricordata in modo ironico dai media dell’epoca a causa della sua atmosfera grottesca e delle sue esagerazioni. La foto che ritraeva il Duce sul cavallo con la spada sguainata fu ritoccata in modo che sembrasse che questi dominava il cavallo senza l’aiuto di nessuno. A Mussolini fu anche dedicato un monumento a Tripoli. La spada è finemente decorata e fregiata d’oro massiccio, ed era stata forgiata dai Picchiani e Barlacchi di Firenze. Era custodita in una teca all’interno della Rocca e dopo la sua distruzione non se ne ebbero più tracce.

Spunti videoludici

Non solo la Rocca fu residenza estiva di Mussolini, ma lo ospitò anche durante la costruzione del governo della Repubblica Sociale Italiana, quindi verso la fine della sua carriera politica e della sua vita. Grazie anche all’iconico faro tricolore, si potrebbe immaginare un racconto che prenda in esame la vita di Mussolini, ormai ridotto allo stremo e circondato dai simboli del suo governo (e dal loro alone autocelebrativo e grottesco, si veda la ‘spada dell’Islam’), alle prese con introspezioni e autovalutazioni, bilanci sulla propria vita e sul proprio operato, sul suggestivo sfondo del castello. Tutto ciò con i partigiani ancora torturati e massacrati a pochi metri di distanza, come ricorda la drammatica vicenda di Carini: un monito per tutti quei processi di desensibilizzazione che vorrebbero consegnare il fenomeno del fascismo all’oblio, riassorbendolo come trovata turistica o anestetizzandone il trauma, ancora aperto e vivo nel territorio e a livello nazionale. Si potrebbe immaginare lo spazio del castello come uno specchio dell’anima, delle imprese e del passato del Duce, magari ponendo il giocatore proprio nei panni di Mussolini come protagonista, alla scoperta di ricordi e memorie.
Ci si potrebbe altresì concentrare proprio sulla figura di Carini, raccontando la sua morte in un videogioco narrativo focalizzato sui dialoghi, magari proprio durante l’interrogatorio che portò il partigiano alla morte nel 1944.

[Bibliografia]

– AA.VV., Rocche e Castelli di Romagna volume 2, Bologna, Edizioni Alfa, 1971.

[Sitografia]

Guerra al faro: La Stampa
Italia Coloniale

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