Descrizione
Il Pozzo della Cava è interamente scavato nel tufo della rupe di Orvieto e raggiunge una profondità di 36 metri, gli ultimi dei quali occupati dall’acqua della sorgente. A renderlo particolarmente singolare il fatto che al suo interno siano stati ritrovati numerosi reperti archeologici etruschi, medievali e rinascimentali. Il Pozzo della Cava ricopre per certi versi un ruolo complementare rispetto all’altro celebre pozzo orvietano, il Pozzo di San Patrizio: quello della Cava nacque nel quartiere popolare, quello di San Patrizio all’interno della fortezza papale.
Cenni storici
Il Pozzo della Cava ha subito nel corso dei secoli notevoli modifiche. Già in epoca etrusca (V-IV secolo a.C.) il pozzetto laterale veniva utilizzato per raggiungere la falda acquifera.
“Quando nel 1527 Papa Clemente VII ordinò di scavare il Pozzo di San Patrizio, fece riadattare anche questa struttura per poter attingere l’acqua della sorgente dalla via; i lavori furono eseguiti a spese del comune e si conclusero nel 1530. È solo del 1999 la scoperta che il primo pozzo realizzato ad Orvieto su commissione di Papa Clemente VII fu quello della Cava e non quello di San Patrizio, come si era sempre creduto fino ad allora.
Il pozzo restò aperto fino al 1646, anno in cui le autorità comunali ordinarono la sua chiusura, come testimonia una lapide che fu collocata sulla via. Quanto ai motivi di questa decisione una credenza popolare vuole che vi siano stati gettati alcuni ufficiali francesi” (dal sito ufficiale).
Focus narrativi
La (ri)scoperta del Pozzo della Cava, avvenuta nel 1984 a opera di Tersilio Sciarra, presenta alcune analogie con quanto accaduto a Narni. Anche in questo caso si trattò di una scoperta che potremmo definire fortuita: Sciarra acquistò una casa nel quartiere medievale di Orvieto, accanto allo stabile dove viveva con la famiglia. Perlustrando i sotterranei dell’edificio, si imbattè in un buco profondissimo, di cui gli aveva parlato uno dei precedenti proprietari. La famiglia Sciarra, con estrema dedizione, ha riportato alla luce il Pozzo della Cava, reso accessibile al pubblico nel 1986.
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La datazione dei lavori di costruzione del Pozzo è stata resa possibile grazie all’analisi della corrispondenza tra le autorità comunali e alcuni privati cittadini. Nel gennaio del 1529, il cavajolo Giacomo “Mai Non Suda”, così chiamato per la sua incredibile pigrizia, chiese al comune un risarcimento (che ottenne) per i danni subiti dalla sua abitazione durante gli scavi. La moglie di Giacomo, Donna Violante, alcune settimane dopo inoltrò la medesima richiesta: il Comune la informò che il denaro era già stato corrisposto al marito. Che evidentemente non l’aveva informata.
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L’uso del Pozzo venne sospeso nel 1646 per volere del consiglio generale. Pare perché vi erano stati gettati alcuni ufficiali francesi. In realtà l’episodio avverrà successivamente, nella primavera del 1820. Nel 1646 il Pozzo fu probabilmente chiuso per evitare che durante la prima guerra di Castro potesse diventare comodo nascondiglio per i nemici.
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L’episodio della primavera del 1820 nasconde retroscena violenti e spiacevoli: pare che cinque ufficiali francesi delle truppe napoleoniche avessero tentato di violentare alcune fanciulle del luogo. I cavajoli, messi al corrente dell’accaduto, li gettarono nelle gelide acque del Pozzo. Che questo episodio sia vero o meno, si riteneva comunque che il Pozzo fosse luogo ideale per occultare cadaveri. Si veda la lettera del delegato apostolico di Viterbo, datata 27 aprile 1820: “Mi viene riferito, che per codesta città vi sono dei pozzi aperti, alcuni senz’acqua, ed altri con acqua, ma inservibili, che sono pericolosissimi, e luoghi opportuni per coprire delitti, specialmente quello della Cava profondissimo”.
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All’interno del Pozzo sono visibili alcuni pozzi-butti medievali. Ovvero pattumiere. I butti vennero scavati in maniera sistematica all’interno delle abitazioni per ovviare a problemi sia igienici che “strategici”. Gli orvietani s’erano infatti abituati a gettare l’immondizia giù dalla rupe su cui sorge Orvieto. Ce n’era talmente tanta che alcuni punti erano diventati facilmente scalabili. I butti risolsero il problema, creando di fatto un mondo sotterraneo fatto di materiale di scarto che nel corso dei secoli si è rivelato utile agli storici. Nei butti venivano gettate anche le suppellettili dei defunti impossibili da bruciare: nel Novecento molti cacciatori di tesori sono andati alla ricerca di questi oggetti spesso preziosi.
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All’interno del Pozzo è stato ritrovato un enorme pilone, una delle fondamenta della torre dei figli di Simone dei Filippeschi, ghibellino. Nella lotta tra guelfi (la famiglia Monaldeschi) e ghibellini (la famiglia Filippeschi), i primi ebbero la meglio. I Filippeschi furono così cacciati da Orvieto.
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Il primo locale del percorso delle grotte del Pozzo della Cava è stato utilizzato dalla fine del Duecento fino al Cinquecento per la lavorazione della ceramica.
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Durante la Seconda Guerra mondiale gli abitanti del quartiere utilizzarono il Pozzo come rifugio antiaereo.
Spunti videoludici
Il Pozzo della Cava rappresenta una sorgente narrativa eccezionale. Non mancano elementi legati all’archeologia e al mondo dei morti (il luogo conserva tracce di tombe etrusche e rupestri), che si intrecciano con eventi politici molto lontani nel tempo (dalla lotta tra guelfi e ghibellini alla Seconda guerra mondiale). Il Pozzo offre uno spazio temporale “dilatato” e fantastico, popolato di personaggi anche curiosi (il cavajolo Giacomo), di eventi violenti e delittuosi. Il mondo sotterraneo cattura per definizione: è un territorio ignoto che nel caso del Pozzo della Cava si tinge di elementi quotidiani: chissà quante storie possono raccontare quei pozzi-butti a partire dagli oggetti gettati dai cittadini. Il Pozzo invita all’esplorazione e all’avventura, ma non fatichiamo a immaginare un Little Inferno riletto in chiave orvietana, proprio a partire da quel sottosuolo che raccoglieva ciò di cui i cittadini volevano liberarsi.
Il Pozzo può inoltre essere messo in relazione, in un’immaginaria mappa di gioco, con il vicino Santuario della Madonna della Cava e, più in generale, col quartiere della Cava in cui è inserito: una quartiere di confine tra campagna e città, in cui sono racchiuse le tradizioni e l’essenza popolare di Orvieto.
Fonti e link
[Bibliografia]
Marco Sciarra, Il Pozzo e la Cava, Collana Orvietanità, 2011
[Sitografia]
Sito Ufficiale
[Scheda Umbria Cultura]
Pozzo della Cava
Scheda realizzata in collaborazione con i curatori del sito