Descrizione
Il Ponte d’Ercole, noto anche come Ponte del Diavolo, è un monolitico arco naturale di roccia arenaria a cavallo di un fiumiciattolo della Val Rossenna, bacino del Secchia. Nei suoi dintorni sono stati trovati numerosi reperti archeologici datati dall’età protostorica a quella medievale, i quali attestano una frequentazione della zona piuttosto continua, se non addirittura assidua. Se ad oggi il ponte, immerso nella vegetazione, è una meta evocativa per passeggiate e percorsi naturalistici, la nomea che la singolare costruzione ha visto accrescersi nella tradizione popolare è tutt’altro che rassicurante: si è sostenuto infatti, attraverso i secoli, che l’arco fosse opera diretta del Maligno.
Cenni storici
Le svariate testimonianze archeologiche rinvenute nei pressi del sito ne attestano la frequentazione a cavallo di svariati periodi storici, probabilmente dovuta anche alla presenza dello stesso ponte e delle svariate sorgenti d’acqua vicine. L’occupazione nel corso del I millennio a.C. È confermata dal ritrovamento di svariati frammenti di ceramica e oggetti ornamentali villanoviani, datati in un periodo che va dal VII al VI secolo a.C. Di quello successivo, ulteriori forme ceramiche e accessori d’abbigliamento mettono in collegamento il Ponte col territorio dell’Emilia occidentale, della Liguria e del vicino Appennino: tale correlazione è confermata anche da una punta di lancia rituale analoga a quelle presenti nei depositi funerari liguri (IV-III Secolo a.C.). Sempre più numerose le datazioni dal periodo romano: ai reperti ceramici si assommano strumenti in metallo e vasi di vetro, nonché tessere di mosaico e resti murari che confermano la presunta presenza di ambienti coperti nella zona limitrofa al Ponte. Le numerosissime monete rinvenute coprono l’arco che va dal II secolo a.C. Al V secolo d.C. In particolare rilevanti le emissioni che risalgono all’età imperiale, dal I al II secolo d.C.). A testimoniare poi la frequentazione del sito anche in età medievale e moderna, ulteriori e preziosi reperti: armamenti presumibilmente appartenenti a una sepolutra medievale, medaglie devozionali (XVII-XIX Secolo) dedicate a culti mariani e così via.
Focus narrativi
Benché la forma tragga in inganno gli osservatori più distratti, il Ponte d’Ercole è un imponente monolito di origine naturale. Sorprende il fatto che non solo somigli “architettonicamente” (sia per funzionalità, sia per estetica) a un intervento artificiale, ma che sia anche (in quanto a dimensioni) apparentemente fatto a misura d’uomo: lo si può infatti percorrere da cima a fondo, utilizzando l’incavo centrale come passerella e le incavature e sporgenze come corrimani o balaustre.
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Il ponte è alto 3 metri, largo 3 e lungo 33: la ricorrenza di questi numeri nelle misurazioni della formazione rocciosa ha alimentato col tempo l’alone mistico che, nella cultura popolare carica di suggestioni della zona, è andato ispessendosi attorno al monolito.
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In una delle sporgenze del ponte, ali di pietra che si estendono come ali sul fianco del corpo centrale, è presente un foro largo a sufficienza per consentire l’ingresso di una testa. Secondo la leggenda, infilare la testa nel foro è un gesto ben poco raccomandabile: può essere che facendolo ci si trovi al cospetto del diavolo stesso, a testa in giù al di sotto del ponte, oppure ancora che per magia il capo venga mozzato di netto.
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Un’altra leggenda narra di un agricoltore della zona che, per raggiungere i terreni di sua proprietà, era costretto ad attraversare un avvallamento che spesso a causa delle piogge diventava un torrente insormontabile, costringendolo così a compiere un lungo giro per evitare l’ostacolo oppure a guadare, non senza rischi, gli impetuosi flutti piovosi. Esasperato dalla situazione e pronto a tutto pur di risolverla, un giorno l’agricoltore invocò l’aiuto del Demonio dicendosi disposto a donargli l’anima pur di risolvere il suo sconveniente problema logistico. Un diavolo prontamente si presentò agli occhi dell’agricoltore, accettando il patto con un sorriso diabolico e correndo a procurargli una lastra di pietra con la quale oltrepassare l’ostacolo. Ecco una delle tante vicende che la tradizione lega alla nascita del monolito della Val Rossenna. La storia però non finisce qui: una notte di pioggia, l’agricoltore abbisognò del ponte e il demone glielo fornì come di consueto. Mentre attendeva che l’uomo tornasse, però, lo spirito maligno venne attirato da un sabba di streghe poco distante. Qua la creatura trascorse una notte tra donne discinte e balli scalmanati, dimenticandosi dell’agricoltore e non accorgendosi dell’approssimarsi dell’alba. Quando il sole sorse il diavolo fu colto alla sprovvista: non potendo sopportare la sua luce, evaporò all’istante. Fu così che la lastra di pietra dedicata all’agricoltore rimase per sempre incustodita al suo posto, e che l’uomo, per un colpo di fortuna, non fu costretto a dare la sua anima in pasto alle fiamme dell’inferno. Antonio Mazzieri, poeta dialettale frignanese, racconta la vicenda in una celebre poesia.
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Svariati geologi sostengono che il ponte sia stato trasportato nella sua posizione attuale da qualche cataclisma o spostamento tellurico. Le dicerie popolari rimodellano queste supposizioni infarcendole però di traslazioni magiche e sovrannaturali, coadiuvate dagli spiriti del bene e dalla loro perenne lotta contro quelli del male. La verità dei fatti è ben meno suggestiva, ma altrettanto affascinante: trattasi infatti di ciò che resta di una bancata arenacea sulla quale scorreva, in tempi remoti, un ruscello che precipitava poi sulla vallata con una cascata (in corrispondenza del fianco a ovest del ponte). Una fitta fessurazione a monte della cascata ha favorito poi la penetrazione di acqua nel sottosuolo: qui, sotto l’arenaria e a contatto con uno strato meno permeabile, l’infiltrazione ha favorito la nascita ed estensione progressiva di una cavità parallela alla superficie. Sgretolatasi per l’erosione, la bancata fessurata è poi caduta in frantumi isolando il monolito così come ci si presenta oggi.
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Scrive lo storico Lorenzo Gigli del ponte: “Su questo monte detto Montapollo in primo luogo ammirasi con stupore un bel lungo sasso d’un pezzo solo, che sta eretto sopra una bassa e curva pendice […], chiamasi Ponte d’Ercole quasi che Ercole solo l’avesse potuto, colle sue smisurate forze colassù trasferir […].”
Spunti videoludici
Rievocando la tensione artificiale/naturale che regola la testualità videoludica tutta (popolata di esseri che sembrano vivi, ma non lo sono), l’ambiente in bilico tra la naturalità e l’intervento esplicito dell’uomo è una cornice affascinante ed efficace per ambientare un racconto, o una sezione giocabile di un titolo a base esplorativa. Il Ponte del Diavolo, carico di testimonianze e frequentato nel corso dei secoli, è un tipico esempio di rovina artificiale/naturale come sovente se ne vedono in titoli post-apocalittici. Essendo percorribile da cima a fondo, denso di riferimenti storici e di tracce di vita, ma anche e soprattutto inquietante esempio di architettura naturale a misura d’uomo (non a caso origine di innumerevoli culti o leggende), il monolito non può che fare da ambientazione ideale per un racconto carico di suggestioni e misteri.
Posto al centro della foresta, il ponte opera poi una cesura col mondo naturalistico circostante: come non immaginare allora un racconto che travalichi il tempo ma non lo spazio, soffermandosi a raccontare le vicende di vari personaggi che hanno percorso questo luogo, intrecciando realtà e finzione anche a partire da episodi evocativi come quello dell’agricoltore e del patto col demonio.
Fonti e link
[Bibliografia]
– Ugo Bonazzi, Il Ponte d’Ercole (o del Diavolo), in I beni geologici della provincia di Modena, Modena, Artioli Editore, 2005, pp. 21-22.
– Adolfo Zavaroni, Il sacro ponte d’Ercole (Ponte del Diavolo). Iscrizioni religiose e antiromane degli antichi abitanti del Frignano, Adelmo Iaccheri La Sorgente, Pavullo, 2012.
[Sitografia]
Modena Today
Archeobo.arti.beniculturali.it
Appennino Modenese