Piazzetta Marco Biagi

Descrizione

Piazzetta Marco Biagi è il nome che porta uno slargo in via Valdonica a Bologna, nel Quartiere Porto e al centro del Ghetto Ebraico. Facente parte di una zona completamente pedonalizzata, la piazzetta mette in comunicazione via Valdonica, l’adiacente via dell’Inferno, e la più grande Piazza San Martino. Fu titolata a Marco Biagi nel 2002, nel novembre dello stesso anno in cui fu assassinato dinnanzi alla propria abitazione, in via Valdonica 14. Benché lo slargo non abbia monumenti o altro, ma soltanto un portico e gli ingressi per abitazioni e condomini, il suo ruolo nella memoria dell’urbanistica e della città di Bologna è ben chiaro: rappresenta a oggi un dolente ricordo dell’azione delle Nuove Brigate Rosse, e un prezioso ricordo di uno dei più noti giuslavoristi socialisti italiani.

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Cenni storici

La piazzetta fu titolata a Marco Biagi il 22 novembre 2002, otto mesi dopo l’attentato che uccise il noto giuslavorista. Numerose le celebrazioni da allora effettuate all’interno dello slargo in onore di Biagi, e con la partecipazione di figure politiche e delle forze dell’ordine. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel 2018, ha definito l’omicidio di Biagi una ‘ferita ancora aperta’ malgrado la sconfitta del terrorismo.

Focus narrativi

Nato nel 1950 a Bologna, Marco Biagi aveva già due monografie pubblicate e vari anni da contrattista all’Università di Bologna quando vinse il concorso a cattedra nel 1984, diventando professore straordinario in Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Italiano e Comparato all’Università di Modena e Reggio Emilia. Dopo la pubblicazione di altre due monografie, l’ultima delle quali del 1990, prosegue tra svariati incarichi la carriera accademica fino al 1991. All’inizio degli anni Novanta iniziò la sua carriera politica, prima come Consulente della Commissione Europea e poi come membro della Commissione ministeriale di esperti per la riforma della normativa sull’orario di lavoro, quindi nel 1994 Presidente dell’AISRI (Associazione italiana per lo studio delle relazioni industriali). Nel 1995 iniziò, al fianco di altri interventi e attività, a essere anche consulente per il ministero del lavoro. La sua carriera politica si arricchì fino ai primi Duemila tra curatele, consulenze e varie cariche prestigiose (nel 1999 Consigliere del Ministro per la Funzione Pubblica, nel 2000 collaboratore con l’Assessore al lavoro di Milano, nel 2001 Consulente del Ministro del Welfare, Consigliere dal Presidente della Commissione Europea, e componente del Gruppo di alta riflessione sul futuro delle relazioni industriali). Nel 2002 fu assassinato dalle Nuove Brigate Rosse per la sua carica di delegato del Rettore di Modena per l’orientamento del lavoro, in qualità di cui aveva raggiunto un accordo sull’occupabilità assieme ai rappresentanti locali delle parti sociali.

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Nel 2002, a Biagi era stata revocata la scorta. Cinzia Banelli, ex-brigatista pentita, avrebbe dichiarato in seguito che se avesse avuto la scorta Biagi non sarebbe mai stato ucciso: “per noi due persone armate costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco”. Il giuslavorista stava tornando a casa dalla stazione in ritorno da Modena, come ogni sera, in sella alla propria bicicletta. Aveva già avvisato la moglie del suo imminente ritorno. Senza saperlo, fu seguito da due brigatisti che lo attendevano per assicurarsi che fosse solo e per dare il segnale agli altri, posti in agguato nei pressi della sua abitazione. Questi lo attesero dinnanzi a casa in tre, indossando caschi integrali e venendogli incontro su via Valdonica. Esplosi sei rapidi colpi di pistola sull’uomo, gli assalitori si dileguarono nella notte. Neanche dieci minuti dopo, Biagi si spense sotto gli occhi degli operatori del 118.

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Le Nuove Brigate Rosse rivendicarono l’omicidio quella stessa notte con un lungo documento, che si chiudeva con il manifesto della loro azione terroristica: “Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocoperativa e di riforma sociale dello stato / organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata / attaccare le politiche centrali dell’imperialismo, dalla linea di coesione europea, ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionari diretti dagli USA e dalla NATO / promuovere la costruzione del fronte combattente antimperialista / trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe / onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti”.

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Neanche un mese dopo l’omicidio Biagi, vicino a Roma fu trovato il cadavere impiccato di Michele Landi nella propria abitazione, posto in ginocchio su una poltrona in modo, forse, da simulare un suicidio. Sulla base del coinvolgimento di Landi in delle indagini indipendenti sull’omicidio Biagi, e sulla sua partecipazione passata in quelle di Massimo D’Antona (il cui caso è noto per essere particolarmente simile a quello di Biagi), si sospetta che ci sia un collegamento tra i due omicidi di Biagi e Landi. Malgrado questo, nel 2004 il caso fu archiviato come suicidio o morte accidentale, e non furono trovate prove del coinvolgimento di un assassino.

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Prima di essere assassinato, Biagi aveva ricevuto numerose minacce di morte. Aveva scritto in merito in varie lettere, in cui si era dimostrato non poco preoccupato per la situazione. Parte del problema, secondo Biagi, era anche che i suoi avversari politici (tra cui Sergio Cofferati) avevano nel tempo criminalizzato la sua figura. Biagi scrisse anche di essere stato minacciato da Cofferati stesso. Era in base a questo clima di tensione che Biagi aveva richiesto una scorta, di cui poco prima della sua morte era stato privato dall’allora Ministro dell’Interno Claudio Scajola. Biagi aveva richiesto nuovamente la scorta, ma non gli fu accordata. Scajola si espresse in modo molto discutibile sulla figura di Biagi, dicendo in un’intervista poi pubblicata su Il Sole 24 Ore: “a Bologna hanno colpito Biagi che era senza protezione ma se lì ci fosse stata la scorta i morti sarebbero stati tre. E poi vi chiedo: nella trattativa di queste settimane sull’articolo 18 quante persone dovremmo proteggere? Praticamente tutte […] Non fatemi parlare. Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”. Le affermazioni suscitarono numerose polemiche, a seguito di cui Scajola si dimise. Nel 2014 si è riaperta l’inchiesta con l’ipotesi di un omicidio per omissione.

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Per l’omicidio Biagi furono condannati in prima istanza, nel 2005, all’ergastolo cinque membri delle Nuove Brigate Rosse. Nel 2006, per attenuanti generiche, uno di questi venne ridotto a 21 anni di reclusione (quello di Simone Boccaccini). Nell’ultimo grado di giudizio, nel 2007, i giudizi in secondo grado sono stati confermati e le condanne rese definitive malgrado i ricorsi in cassazione presentati dagli imputati.

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Biagi fu promotore di una riforma del mercato del lavoro, cioè la legge 14 febbraio 2003, n. 30. Al centro della legge l’argomento di Biagi circa il potere organizzativo e direttivo dell’azienda, da imputarsi esclusivamente al datore di lavoro e non sindacabile dalla magistratura del lavoro. I risultati della legge sono stati ampiamente dibattuti: alcuni ne hanno sottolineato gli esiti positivi per il ricambio occupazionale; altri l’hanno contestata perché ha aumentato la precarietà dei lavoratori e il numero di precari sul territorio nazionale. La figura di Biagi ha comunque raccolto unanimi apprezzamenti dalla comunità di accademici e politici. Tra questi, Michele Tiraboschi scrisse nell’accorato Marco Biagi. L’uomo e il maestro: “[aveva] una innata capacità – che gli era riconosciuta dallo stesso maestro Federico Mancini – di guardare lontano e di prevedere con larghissimo anticipo avvenimenti e scenari futuri. E questo se può avere contribuito ad alimentare in talune circostanze qualche incomprensione con chi fatica, più o meno consapevolmente, ad abbandonare la limitata prospettiva di osservazione offerta dal diritto del lavoro nazionale, rappresenta a ben vedere la grande eredità di Marco Biagi comparatista” (p. 258).

Spunti videoludici

La figura di Biagi, ruotando a livello di immaginario attorno alla Piazzetta a lui titolata, si presta a numerosi giochi dalla forte componente narrativa: come non pensare a un drammatico racconto della sera dell’attentato, a un’accorata e partecipativa ricostruzione degli ultimi giorni di Biagi, a un’inchiesta interattiva e che si focalizzi sui personaggi nel raccontare una delle ‘ferite aperte’ più dolorose della recente storia politica e sociale italiana. L’omicidio Biagi va a chiudere una tremenda stagione di attentati e terrorismo, che potrebbe trovare proprio nella sua figura una pietra angolare per strutturare un racconto in cui al giocatore sia dato modo di ripercorrere la storia, ma anche di dirimerla in prima persona, alla ricerca della verità. Si può pensare a un videogioco più breve, focalizzato sui singoli eventi della drammatica vicenda, oppure dal respiro più ampio, in cui la figura di Biagi e il racconto della sua morte prendano parte a una descrizione che le metta in prospettiva con altri casi analoghi e col clima politico e sociale del tempo.

[Bibliografia]

– Benedetti A., Il linguaggio delle nuove Brigate Rosse. Frasario, scelte stilistiche e analisi comparativa delle rivendicazioni dei delitti D’Antona e Biagi, Genova, Erga, 2002.
– Biacchessi D., L’ultima bicicletta. Il delitto Biagi, Milano, Mursia, 2003.
– Tiraboschi M., Morte di un riformista. Marco Biagi, un protagonista delle politiche del lavoro nei ricordi di un compagno di viaggio, Venezia, Marsilio, 2003.

[Sitografia]

La Repubblica: Se Biagi avesse avuto una scorta sarebbe ancora vivo
Rivendicazione omicidio Biagi

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