Descrizione
Il villaggio abbandonato si trova arroccato sul Monte Calvario, escrescenza rocciosa dalla caratteristica forma che ricorda quella di una gigantesca mano (di qui il nome del borgo, dal greco pènta-dàktylos, “cinque dita”) che purtroppo a seguito di un terremoto ha visto il crollo di alcune sezioni. Mentre negli ultimi tempi nel luogo si osserva la rinascita di alcune attività commerciali o culturali, fino a pochi anni fa il paese è rimasto a lungo del tutto disabitato. Tra gli eventi rilevanti della storia del posto spicca una strage nota come “strage degli Alberti”.
Cenni storici
Pentidattilo fu fondato nel 640 a.c. Come colonia calcidese e rimase per tutto il periodo greco-romano un fiorente centro economico e militare. Durante la dominazione bizantina venne saccheggiato prima dai Saraceni e in seguito dalle forze del Duca di Calabria, quindi conquistato dai Normanni e divenne una baronia che passò in mano a svariate famiglie.
Nel 1783 il borgo fu devastato da un terremoto che dette inizio a un lento e costante flusso migratorio di spopolamento, che si concluse negli anni ’60 col completo abbandono del luogo. Dagli anni ’80 il paese è stato riscoperto da numerose associazioni che hanno intrapreso un cammino di recupero del suo valore dal punto di vista culturale, artistico ed economico.
Focus narrativi
Nella seconda metà XVII secolo Pentidattilo è stato teatro della cosiddetta “Strage degli Alberti”. Al centro della vicenda è la rivalità tra due famiglie di nobili: quella degli Alberti (allora i marchesi del borgo) e quella degli Abenavoli, ex feudatari di Pentidattilo e baroni di Montebello Ionico. Per lungo tempo tra le due famiglie si era consumata una contesa causata da questioni inerenti i confini comuni delle proprie aree d’influenza, tuttavia essa verso il 1680 sembrava svanire grazie sia a pressioni politiche (da parte del Viceré, intenzionato a pacificare la zona) sia alla volontà del barone Bernardino, capostipite degli Abenavoli, di sposare Antonietta, la figlia del marchese Alberti. Il matrimonio però non ebbe modo di vedere la luce: nel 1685 il marchese Alberti acconsentì di cedere la sorella in nozze a Don Petrillo Cortez, figlio del Viceré di Napoli. La notizia del fidanzamento mandò su tutte le furie Bernardino, che decise di avere la sua rivalsa su tutta la famiglia degli Alberti. Grazie all’aiuto di Giuseppe Scrufari, servo infedele degli Alberti, nella notte del 16 aprile 1686 Bernardino si introdusse nel castello della famiglia rivale con un manipolo di uomini armati. Uccise prima il marchese, sorprendendolo nel sonno con due colpi di archibugio e 14 pugnalate, quindi assaltò tutte le altre stanze del maniero: uccise tra gli altri il fratellino di 9 anni del marchese sbattendolo mortalmente contro una roccia. Dal massacro furono risparmiati Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina Teodora, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez, preso in ostaggio come garanzia contro eventuali ritorsioni del Viceré verso gli Abenavoli. Bernardino sposò coattamente l’amata Antoinetta il 16 aprile, tornato nel suo castello. Il Viceré Cortez allestì una spedizione militare contro gli Abenavoli che il 19 aprile liberò Don Petrillo e catturò gli esecutori della strage, le cui teste furono tagliate e appese ai merli del maniero di Pentidattilo.
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Tra le leggende ispirate dalla strage, si dice che che alcuni cittadini di Pentidattilo nuovo (paese a valle verso il quale sono emigrati i paesani) durante alcune particolari notti asseriscono ancora oggi di sentire le urla terribili del massacro.
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Si dice che la notte del 16 aprile di ogni anno se si scruta attentamente nel paese si possono osservare delle strane ombre misteriose, simili a quelle di madri che tengono i figli per mano e che scappano da altri spettri armati di coltello. Altre voci sostengono che per i vicoletti del borgo si sentono ancora le urla e la rabbia di dolore del marchese e la sua famiglia uccisi nel sonno. Gli abitanti di Pentidattilo nuovo sono per anni e anni stati restii ad avvicinarsi al villaggio abbandonato, e tutt’ora circolano inquietanti racconti riguardanti l’esplosione di morte di quella sera.
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Il terremoto del 1783, seguito da altre scosse e dal progressivo inizio di un movimento franoso, determinò assieme alla persistenza di leggende inquietanti legate alla strage un abbandono completo del luogo.
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La roccia che troneggia su Pentidattilo viene chiamata “la mano del Diavolo”. Si dice che essa rappresenti la mano insanguinata del Barone Abenavoli, pronta a chiudersi sul borgo. Altre voci sostengono che invece essa si macchi del sangue degli Alberti: L’impronta della mano del marchese sarebbe visibile ancora oggi, proprio quando nell’aurora le cinque dita colpite dalla luce del sole si tingono di rosso sangue.
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Si racconta che qualche anno fa, in una sera d’estate subito dopo una rappresentazione teatrale per le vie di Pentedattilo, alcuni visitatori notarono l’ombra di un uomo incappucciato immobile sotto un lampione, ma pensando che si trattasse di un attore dello spettacolo non se ne preoccuparono. Quella figura inquietante si trovava lì anche la sera successiva, quando i visitatori vi tornarono per una visita, immobile e sempre più nitida man mano che si avvicinavano. Purtroppo per la suggestione e la paura i tre visitatori decisero di ritornare indietro e mettersi in viaggio, senza riuscire a scoprire chi si nascondesse dietro la sagoma dell’uomo.
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Un’altra leggenda tramandata attraverso i racconti popolari delle nonne narra di un tesoro nascosto accumulato dalle diverse popolazioni che nel corso della storia occuparono il famoso borgo di Pentedattilo, a quanto pare conservato e nascosto al centro della rupe. Secondo questa leggenda la strage si sarebbe consumata non a causa dell’amore di Bernardino per Antonietta, ma per la volontà degli Abenavoli di impadronirsi proprio di quel tesoro. Dopo il tragico conflitto delle due famiglie esso venne inghiottito dalla montagna. Un giorno un cavaliere fantasma però si manifestò a un contadino svelandogli una profezia che gli avrebbe permesso di recuperarlo: se fosse riuscito a percorrere, poggiando su un solo piede, cinque giri intorno alle cinque dita (che all’epoca erano intere) sarebbe riuscito a spezzare l’incantesimo e la montagna avrebbe restituito il tesoro. La notizia si diffuse rapidamente anche nei regni vicini e in tanti cercarono di completare la sfida per ottenere la ricompensa, purtroppo senza successo. In molti pagarono con la vita, perdendo l’equilibrio e precipitando tra le rocce. Un giorno arrivò un cavaliere dalla Sicilia che a differenza di chi l’aveva preceduto riuscì nel suo intento: man mano che completava i giri attorno alle gigantesche dita, esse si aprivano dischiudendo il palmo di pietra. Al momento dell’ultimo giro, intorno al dito mignolo, l’intero costone di roccia aprendosi crollò addosso al cavaliere e lo uccise, svelando il crudele inganno della rupe. Secondo questa leggenda le urla che si odono nelle notti di forte vento apparterrebbero alle anime sacrificate nel tentativo di liberare il tesoro dalle mani del diavolo di Pentedattilo, ingannevole e crudele.
Spunti videoludici
La struttura della montagna e la leggenda che vi si basa offrono lo spunto per un andamento a livelli: girare attorno alle gigantesche dita rocciose può coincidere con l’affrontare cinque differenti sfide, o cinque differenti ambientazioni che conducano al raggiungimento del palmo finale, ancora chiuso.
Il borgo si presta bene, grazie alla sua estetica suggestiva, a far da meta ultima di un viaggio carico di suggestioni ed esoterismo: la roccia delle cinque dita è una rupe perfetta per uno scontro finale, il suo fantomatico palmo è facilmente riconducibile a una spazialità “ad-arena” pronta a ospitare epiche battaglie conclusive o riti malefici da bloccare all’ultimo secondo.
Interessante la possibilità di far appartenere la gigantesca mano a un demone di pietra sepolto sotto la terra: si veda qui l’uso dei colossi e della loro sepoltura e dissepoltura in Shadow of the Colossus (Team Ico, 2006) o Final Fantasy XV (Square Enix, 2016).
Fonti e link
[Bibliografia]
Marcello Sèstito, L’architettata mano: Pentedattilo palmo di pietra, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 2004.
Vito Teti, Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Donzelli Editore, Roma, 2004.
Andrea Cantadori, La tragedia di Pentidattilo, Falzea Editore, Reggio Calabria, 2007.
[Sitografia]
Strettoweb.com
Paesifantasma.it
[Scheda Film Commission]
Calabria Film Commission