Palazzo di Re Enzo

Descrizione

Palazzo Re Enzo è uno storico edificio nel cuore di Bologna, considerato un autentico simbolo di orgoglio civico per i cittadini del comune. Chiamato in origine Palazzo Nuovo, venne ribattezzato “Re Enzo” in seguito alla detenzione di re Enzo di Sardegna, figlio di Federico II, che venne tenuto imprigionato qui per ben ventitré anni.

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Cenni storici

Agli inizi del XIII secolo il Comune di Bologna espropriò e aggregò un complesso di edifici per creare la sede del governo cittadino. Data l’esigenza di ampliare gli spazi degli edifici comunali, tra il 1244 e il 1246 venne costruito Palazzo Re Enzo, in origine chiamato Palazzo Nuovo.
Nel 1249, in seguito alla battaglia di Fossalta tra i guelfi di Bologna e i ghibellini di Modena, le truppe bolognesi catturarono re Enzo di Sardegna, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, che venne condotto presso il palazzo di nuova costruzione adiacente a Piazza Maggiore.
Il giovane re rimarrà confinato nell’edificio fino alla sua morte, avvenuta ventitré anni dopo. In questo periodo il palazzo venne convertito in una prigione a misura di nobile. L’influenza della vicenda di re Enzo lasciò un segno indelebile nella memoria dei bolognesi, tanto che finirono per dare il suo nome all’edificio che lo ospitò così a lungo.

Focus narrativi

Palazzo re Enzo, insieme al Palazzo del Podestà, fu la prima sede del governo cittadino, esercitato appunto dal Podestà e dai suoi giudici e ufficiali. Disponeva fin dalla sua costruzione di una torre campanaria, detta “dell’Arengo”, per chiamare a raccolta i cittadini in caso di eventi straordinari. Una caratteristica della torre è quella di essere priva di fondamenta: è infatti sostenuta da quattro piloni, che insieme vanno a formare gli angoli dei voltoni che si incrociano sotto di essa.

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Nel corso del tempo la detenzione di re Enzo diede adito a numerose leggende e racconti più o meno fondati: alcuni legati ai tentativi di fuga del prigioniero, altri riguardanti le numerose relazioni amorose che Enzo intraprese durante la sua prigionia.

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Si racconta che in una occasione, dopo la morte dell’imperatore Federico II, Enzo avrebbe tentato la fuga coinvolgendo un lavoratore del palazzo con il quale aveva stretto amicizia. Il piano del sovrano era semplice: nascondersi dentro una cesta vuota e farsi trasportare fuori dall’edificio. Secondo la tradizione venne sorpreso da un’anziana che notò i capelli biondi del monarca spuntare dalla cesta.

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Il figlio di un imperatore era naturalmente un ostaggio prezioso, motivo per cui la prigionia di re Enzo non fu priva di agi e di comodità consoni al suo rango. Durante la lunga detenzione il re poté godere di diverse compagnie femminili e da alcune di queste relazioni nacquero dei figli: nel testamento del monarca vengono infatti ricordate tre figlie naturali. A queste talvolta le leggende accostano anche un quarto figlio, frutto dell’unione del sovrano con una contadina di nome Lucia di Viadagola. Il bambino, chiamato Bentivoglio, sarebbe diventato in seguito il capostipite della omonima casata.

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Pare che Federico II, nel tentativo di liberare il figlio prigioniero, avesse offerto alla città di Bologna una catena d’oro lunga quanto le mura della città. Il comune però avrebbe rifiutato la proposta, preferendo protrarre la detenzione di Enzo.

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A palazzo Re Enzo vivevano anche altre figure legate all’organo governativo. In particolare, si è tramandata una storia curiosa legata al boia di palazzo. Il boia avrebbe infatti avuto una compagna, chiamata Lazzarina, la quale curava un piccolo giardino su uno dei balconi della facciata dell’edificio (adesso non più visibile). Su questo balcone la donna era solita piantare un nuovo fiore ogni volta che veniva eseguita una condanna. Il gesto della donna, col passare del tempo, entrò a far parte delle espressioni della lingua bolognese, diventando una vera e propria locuzione: andèr in t’al zardèn dla Lazzarèinna, ovvero “andare nel giardino delle Lazzarina”, era sinonimo di essere condannati a morte.

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Secondo Lorena Bianconi, autrice del saggio “Alle origini della festa bolognese della Porchetta”, alcuni elementi legati alla cattura e all’arrivo di re Enzo a Bologna sarebbero stati inglobati nella festa di San Bartolomeo, che veniva celebrata il 24 agosto: “la cerimonia del cuoco che a cavallo di un ronzino percorreva il tragitto della corsa del palio con uno sparviere e una porchetta infilzata in uno spiedo, poteva essere […] la rappresentazione parodica dell’entrata di re Enzo a Bologna, celebrata annualmente in ricordo della sconfitta dell’autorità imperiale e della vittoria dei bolognesi”.

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Secondo alcuni studi, durante la sua reclusione re Enzo avrebbe curato la stesura del trattato di falconeria in sei libri De arte venandi cum avibus, scritto dal padre Federico II. Il manoscritto è tuttora conservato a Bologna nella Biblioteca Universitaria e datato alla seconda metà del XIII secolo.

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La cattura e la prigionia di re Enzo è stata fonte d’ispirazione di numerosi poeti, musicisti e pittori.

Spunti videoludici

La storia del Palazzo Re Enzo si intreccia indissolubilmente a quella del suo nobile carcerato. Lo spazio chiuso dell’edificio e la figura centrale di re Enzo permettono allo sviluppatore di elaborare una narrazione intima e raccolta. I ventitré anni di reclusione possono scandire l’unità temporale in cui esplorare le emozioni e le frustrazioni del monarca, raccontare i suoi tentativi di fuga e il rapporto con il popolo di Bologna. La narrazione potrebbe anche andare al di là delle mura e narrare gli eventi antecedenti alla cattura, come la rovinosa battaglia di Fossalta o il rapporto di Enzo con il padre Federico II.

[Bibliografia]

– L. Trombetti Budriesi, V. Braidi, R. Pini, F. Roversi Monaco, Bologna re Enzo e il suo mito, Bologna, ed. Clueb, 2002.
– Paola Foschi e Francisco Giordano, Palazzo Re Enzo Storia e restauri, Bologna, Costa Editore, 2003.
– Lorena Bianconi, Alle origini della festa bolognese della porchetta ovvero San Bartolomeo e il cambio di stagione, Bologna, CLUEB, 2005.

[Sitografia]

Palazzo di Re Enzo
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