Descrizione
Il Monte Corchia occupa un posto tra le maggiori cime Apuane sia per la sua rilevanza in materia di speleologia, con i suoi oltre 60 km di gallerie, sia per l’importanza che rivestì all’epoca della lizzatura dei marmi, poi sostituita dal trasporto via camion. Risulta tra i monti più apprezzati da alpinisti e camminatori per la varietà e spettacolarità delle sue pareti e dei suoi sentieri: l’amore per queste sue caratteristiche ha mosso più volte speleologi e appassionati a protestare contro l’azione distruttiva delle cave di marmo, che da decenni alterano irreversibilmente il profilo e il cuore della montagna. Ai piedi del massiccio, non lontane dal paese di Levigliani, si trovano delle miniere di cinabro, mercurio e minerali rari, attivate e dismesse più e più volte nel corso dei secoli a partire dal Medioevo.
Cenni storici
La montagna iniziò la sua formazione nel Paleozoico, per poi arricchirsi durante il Mesozoico di materiali calcarei, marmiferi, e dei cosiddetti “grezzoni”, formazioni calcaree tipiche delle Alpi Apuane. Fino alla metà del 1800 non assunse particolare rilevanza storica, poi il naturalista e imprenditore Emilio Simi colse delle raffiche di vento provenire da un’apertura in un’area di saggiatura del marmo e, approfondendo l’indagine, scoprì il primo ingresso di uno dei più estesi sistemi di grotte d’Europa. A partire dal XX secolo le esplorazioni furono molteplici, a opera di gruppi speleologici provenienti da ogni parte del continente. Essendo il complesso carsico estremamente ampio, durante il decennio Ottanta-Novanta capitò che spedizioni partite da ingressi diversi si incontrassero a metà del percorso. Nello stesso secolo il monte conobbe la guerra, in quanto tra il 1944-45 vie erano state scavate varie linee di trincea, ricalcando un tratto della Linea Gotica. Dal 1956 iniziarono i lavori per una tra le più lunghe vie di lizza apuane, finanziata dalla neonata Cooperativa Condomini di Levigliani, e destinata a veder scendere tonnellate di marmo fino al 1971, anno di apertura della camionabile che da valle raggiunge le varie cave, tra cui quella dei Tavolini a 1500 s.l.m. Nel 2001, l’Antro del Corchia viene aperto al pubblico: il visitatore può prenotare tour guidati di due ore all’interno di un affascinante tratto di percorso lungo circa 2 km.
Focus narrativi
L’Antro del Corchia, ingresso artificiale aperto al pubblico nel 2001, è solo uno dei venti accessi al cuore del monte attualmente conosciuti. Altri di interesse speleologico sono la Buca del Serpente, il Buco dei Pompieri, la Buca del Cacciatore e la leggendaria Buca o Tana dell’Omo Selvatico. All’interno delle grotte, la temperatura si aggira intorno ai 7,6 gradi tutto l’anno, e presso l’ingresso turistico è stato installato un sistema a più porte che mantengano l’area sigillata, sia per preservare l’integrità dell’ecosistema, sia per evitare correnti d’aria, che a porte aperte possono arrivare fino agli 80 km/h. All’interno, 52 tonnellate di passerelle in acciaio permettono di visitare – senza nuocere all’ambiente – diverse aree: si accede dalla Galleria Franosa, discendendo verso la Galleria degli Inglesi (scoperta dal gruppo britannico negli anni ’60), famosa per il suo lago fossile, per poi superare delle concrezioni fossili ricordanti la forma di un’aquila e ritrovarsi ad uno dei bivacchi tipici degli speleologi, come attestano le firme sulla parete, nei pressi del cosiddetto Laghetto del Venerdì. Altri luoghi fortemente suggestivi sono la Foresta Pietrificata, popolata da rigonfie concrezioni ormai inattive, e la Galleria delle Stalattiti, ancora attiva e dall’aspetto multiforme.
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Fin dalla prima metà del 1800, dal Monte Corchia si estraggono diversi tipi di marmi, tra cui una varietà unica nel suo genere, l’Arabescato del Corchia, differente dai suoi simili apuani per il tipico colore bianco traslucido a striature grigio-azzurre. Oltre dieci cave costellano i fianchi del monte, di cui nove ormai in disuso da almeno 30 anni, ma che hanno marchiato la montagna con saggiature, macchinari abbandonati e colate di macigni di scarto. Le cave ancora attive si possono notare fin dalla spiaggia versiliese: i grossi ravaneti e l’escavazione sulle estremità del monte ne hanno alterato notevolmente il profilo originale, ormai perduto. A causa delle conseguenze sul paesaggio e sulla struttura della cosiddetta “montagna vuota”, si è sempre più sviluppato un attrito tra cavatori e speleologi, culminato nel 1994 con l’incendio del bivacco Lusa-Lanzoni, rifugio del gruppo speleo di Faenza, all’epoca impegnato nell’esplorazione dell’Abisso Fighiera.
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Alla base del monte, presso la località Riseccoli, si aprono nella roccia alcuni cunicoli, più o meno antichi, dai quali saltuariamente nel corso di circa otto secoli sono stati estratti vari tipi di minerali. Sono le Miniere di Levigliani, meglio conosciute come le Miniere dell’Argento Vivo, dal modo in cui veniva chiamato il mercurio, a causa del suo aspetto e della sua mobilità. Si ha notizie di esse a partire dalla fine del XII secolo, in un atto appartenente al Comune di Pisa, per poi passare al 1470 in cui il nobile fiorentino Gino Capponi tentò di avviare un’estrazione di cinabro, prezioso pigmento spesso usato dai miniaturisti. Stessa impresa venne tentata nel 1717 da uno scultore scelto da Cosimo III de’ Medici, stavolta accompagnata dalla costruzione di un’officina e di una dimora per i minatori. Dopo altri abbandoni e riprese nel corso del Settecento, il secolo successivo vide nuovi tentativi da parte di imprenditori forestieri, tra cui il principe Carlo Poniatowski, per poi concludersi definitivamente nel 1970. Oltre ai due minerali sopracitati, queste miniere sono note per la presenza in quantità esigue di pietre uniche: la “Leviglianite” e la “Grumiplucite”. Attualmente, presso il sito è allestito un museo sulla storia delle miniere e le tecniche di estrazione, con esposte anche alcune vene di quarzo, da cui ancora fuoriescono goccioline di mercurio.
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L’Omo Selvatico, il mitico abitatore della Tana sulle pendici del Corchia, è un personaggio assai diffuso nel folklore locale. Viene descritto come un timido selvaggio, ricoperto di peluria e dalla stazza maestosa, che si ciba di erbe, miele e della sola buccia dei frutti, senza arrecare danni a nessuno. Egli ha delle strane abitudini: porta scarpe di corteccia, abiti di pelliccia, e quando c’è brutto tempo lavora e ride, perché sa che alla pioggia seguiterà il sereno. Si dice sia stato lui, un tempo, ad insegnare ai pastori come fare il burro, evitando che buttassero via parte del latte munto; dopo aver imparato questa tecnica, i quelli lo trattennero nonostante la natura schiva, sperando che insegnasse loro altri segreti; il saggio abitante dei boschi allora gli spiegò come si facesse il formaggio e poi la ricotta, e quando i pastori furono soddisfatti e convinti di non poter imparare più di così, lo rimandarono volentieri al suo bosco. E lui ci tornò per sempre, ridacchiando, in quanto se invece avessero aspettato, ospitandolo per un giorno ancora, gli avrebbe insegnato come ottenere dal latte addirittura l’olio.
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Il panorama unico delle Alpi Apuane, eterno invito alla meditazione e contemplazione della bellezza, si vide violato fin dall’inizio del 1944, quando partigiani e nazi-fascisti si scontrarono sulle pendici dei monti presso cui, nel settembre dello stesso anno, sarebbe stata stabilita la Linea Gotica. Essa originava dalla costa per poi arrampicarsi sulle montagne e percorrere vari segmenti di Apuane, uno dei quali includeva il Monte Altissimo, il Monte Corchia e le Panie. Ciò comportò la creazione di trincee, fortificazioni, zone minate, recinzioni di filo spinato: parte di questi interventi è ancora visibile, ed esistono itinerari specifici che ne ricalcano i percorsi. In particolare, sul Corchia sono presenti trincee fortificate appena al di sopra del sentiero detto “delle Voltoline”, nome derivato dalla presenza di numerosi tornanti: il complesso, da cui è possibile raggiungere diverse postazioni, è detto “Passo dell’Alpino” in quanto vi si stabilì la “Monterosa”, la 4a divisione alpina dell’esercito appartenente alla Repubblica Sociale Italiana.
Spunti videoludici
I punti di forza della “montagna vuota” sono di tipo ambientale: il fascino delle sue grotte, la contemplazione dei suoi panorami, e del suo volto grigio-verde, eterogeneo e maestoso, trasformato e scandito dalla regolarità delle bianche cave. Coprendo un’area piuttosto estesa, ci si potrebbe immaginare un mondo aperto, esplorabile, con una narrazione che emerga spontanea dai dettagli. Cogliendo l’invito all’introspezione di questa silente montagna, si potrebbe suggerire una riflessione che identifichi nell’Omo Selvatico ciò che di primitivo continua ad esistere, anche nell’uomo contemporaneo: sentirsi ad esso superiori, ed al contempo guardare con nostalgia a ciò che per correre avanti è stato lasciato indietro, come l’umiltà, la lentezza e la saggezza della natura. Un’avventura più leggera, ma ricca di adrenalina, potrebbe svolgersi in un fantasioso percorso nel cuore della montagna, con livelli ambientati tra le grotte, i precipizi e i cunicoli scavati dall’acqua e dall’uomo, tra stalattiti, torrenti sotterranei e minerali scintillanti.
Fonti e link
[Bibliografia]
– Lanfranconi, A., La Montagna Vuota, Busto Arsizio, Bramante Editrice, 1985;
– Fantozzi, P., Le leggende delle Alpi Apuane, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 51-52;
[Sitografia]
Corchia Park
Parco Apuane
Archeominerario
Brochure Itinerari Linea Gotica
Escursioni Apuane