Descrizione
Le miniere di Ingurtosu fanno parte del sistema minerario sardo, storicamente sfruttato da ogni popolazione di stanza sull’isola. Un vero e proprio borgo, costruito tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, si estese attorno alle miniere. Il borgo fu abitato da quasi cinquemila persone, fino alla chiusura degli stabilimenti avvenuta negli anni ’60. A oggi è di fatto un borgo fantasma.
Cenni storici
Chiuse nel 1968, le miniere di Ingurtosu facevano parte del “filone di Montevecchio”, un sistema minerario sardo in cui si estraevano soprattutto piombo, zinco e argento. Storicamente la zona è stata sempre sfruttata per le sue risorse: sin dall’epoca preromana infatti abbiamo notizie che riguardano avanzati stadi tecnologici nelle attività estrattive, divenendo successivamente per i Romani uno dei siti più importanti dell’Impero.
Nel 1830 vennero scoperti dei giacimenti minerari nella zona di Gennamari e in seguito in quella di Ingurtosu. Venne istituita una società mineralogica e avviate le attività estrattive nei due stabilimenti, quelle di Ingurtosu gestite dai genovesi Marco e Luigi Calvo.
Tra il 1870 e il 1880 entrò in attività il primo pozzo e venne posizionata la prima pietra del villaggio minerario. Attorno alla miniera venne a edificarsi un vero e proprio villaggio, abitato dagli operai e dalle loro famiglie. La miniera riuscì a sopravvivere al secondo conflitto mondiale, ma non alla crisi del settore minerario che colpì la Sardegna negli anni ’50.
Nel ’65 la miniera fu chiusa definitivamente e il rilancio di cui il governo aveva incaricato l’Eni non andò in porto e in pochi anni il villaggio venne del tutto abbandonato.
Con i primi licenziamenti, soprattutto dopo il secondo dopoguerra, la zona cominciò a svuotarsi, fino all’anno della chiusura.
All’interno del sito vi sono dunque numerosi edifici. Oltre alle abitazioni degli operai troviamo infatti l’ufficio della direzione (detto “il castello”), una chiesa, una posta, uno spaccio e una struttura con funzione ospedaliera. Tutti questi elementi evidenziano una vera e propria vita attorno al sito minerario, caratterizzata da attività quotidiane e legami familiari creatisi grazie al lavoro estrattivo.
La vallata termina con le celebri Dune di Piscinas: oggi un sito turistico apprezzato per la bellezza naturalistica e il mare cristallino; un tempo il luogo in cui venivano imbarcati i minerali per essere esportati nel resto del territorio italiano.
Tutta la vallata costituisce un esempio di notevole rilevanza di archeologia industriale, oggi parte del patrimonio UNESCO.
Focus narrativi
La scoperta delle miniere si deve in realtà attribuire ad un prete di Guspini, che diceva di recarsi nella zona per raccomandare le anime dei fedeli, ma che in realtà scavava e fondeva illegalmente il minerale galena.
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Il palazzo della direzione, edificato parallelamente agli alloggi dei minatori, è una struttura imponente costruita in granito arburense e denominata “Il castello” per lo stile bavarese che ricalca quello del castello Wartburg di Eisenach (Turingia, Germania), costruito in omaggio all’originale dall’ingegnere tedesco Bornemann.
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Il villaggio è semidiroccato e per lo più disabitato. L’ultimo censimento ha contato soltanto nove abitanti residenti.
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Una delle teorie sull’origine del nome del sito fa risalire “Ingurtosu” al termine gurtugiu, un avvoltoio che si dice popolasse la zona.
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Non deve stupire la presenza di un ospedale vicino alla miniera: frequenti erano infatti gli incidenti di lavoro che, lungo tutto il periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni del ‘900, evidenziano le condizioni di sfruttamento in cui versavano gli operai, malpagati e in condizioni di sicurezza giudicate spesso insufficienti. Ciò diede vita parecchie volte a scioperi o proteste di vario genere.
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A Ingurtosu è legata la personalità di Thomas Alnutt Brassey, un lord inglese che acquisì la direzione della miniera. Alla fine dell’800 la gestione dei pozzi passò prima ad una società francese e in seguito ad una inglese, sotto la guida del Lord, a cui si devono le migliorie apportate al villaggio. Con la sua morte, investito a Londra da una carrozza, termina il periodo più florido sia per la miniera che per il villaggio.
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I materiali estratti dalla miniera venivano trasportati a bordo di carrelli o piccoli vagoni (ancora oggi visibili) lungo rotaie e gallerie fino alla spiaggia. Il percorso dei binari è suggestivo, attraverso le dune vive di sabbia tra le più alte d’Europa: «alte anche cinquanta metri, le dune di sabbia bianchissima con motivi di tinte rosate, si alternano ad altre già consolidate, ricoperte di splendidi ginepri. Maestoso a vederlo dal basso, questo anfiteatro di dune morte e viventi si innesta a monte, con una cerniera frastagliata, alle colline alberate o coperte di verdissima macchia mediterranea» (Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Sardegna)
Spunti videoludici
Il sito di Ingurtosu è a tutti gli effetti un villaggio fantasma ben conservato, con esempi architettonici di pregio stilistico. La location costituisce un sito perfetto per l’ambientazione di una mappa da esplorare in un contesto videoludico: dall’avventura dai toni crime/horror, alla visual novel sulle storie dei minatori e delle loro famiglie, ad arena di combattimento per un picchiaduro o anche per un ambientazione in open world. I numerosi reperti industriali conservati consentono inoltre il richiamo a giochi come Tomb Raider, Uncharted o Indiana Jones, offrendo possibilità di interazione notevoli anche per dei platform.
Fonti e link
[Bibliografia]
F. Fresi, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Sardegna, Newton Compton Editore, Roma, 2015.
Mezzolani S., Simoncini A., Paesaggi ed architetture delle miniere in Sardegna da salvare, volume XIII, Sassari, 1993.
Mezzolani S., Simoncini A., Storie di miniera, Unione sarda, Cagliari, 1994.
[Sitografia]
Pro Loco Arbus
Arbus
Sardegna Turismo
Miniera di Montevecchio
Sardegna Miniere
[Scheda Film Commission]
Sardegna Film Commission