Miniere di Formignano

Descrizione

Pozzi e gallerie profonde 500 metri e un ampio villaggio addossato alle colline attorno al fiume Savio costituiscono il complesso della solfatara di Formignano, ormai in stato di abbandono, ma custode di numerose storie e testimonianze che attraversano la storia dell’Italia sin dalla sua unità.

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Cenni storici

Il complesso di Formignano comprende le miniere Busca-Montemauro e Luzzena-Formignano, inizialmente due complessi distinti, ma in seguito resi comunicanti grazie ai collegamenti costruiti. Le miniere vengono create per far fronte all’attività estrattiva dello zolfo: nelle fonti ci viene menzionata come prima datazione dei lavori quella del 1556: pur essendo l’elemento chimico noto sin dai tempi dei romani (per riti e usi cultuali), l’avvio di una vera e propria industria estrattiva coincide con la scoperta della polvere pirica e la diffusione delle armi da fuoco. Comincia da allora quindi un’attività attestata in tutta la Romagna e in altre parti d’Italia.
Dopo alcuni secoli di lacune archivistiche, è certo che nel 1816 il complesso di Formignano e altre miniere vicine sono acquistati dal conte G. Cisterni il quale, per controllare non solo l’estrazione, ma anche la produzione, costruisce a Rimini uno stabilimento chimico e una raffineria.
Dopo il fallimento delle attività, le miniere vengono rilevate nel 1838 da due imprenditori tessili francesi, Agostino Picard e Carlo Pothier, che ben presto si ritrovano in difficoltà economiche e sono costretti a vendere le miniere alla “Nuova Società delle miniere sulfuree di Romagna” nel 1843.
Durante l’Unità d’Italia, le attività estrattive (così come altre attività industriali del Paese) vengono messe al centro del dibattito circa la demanialità, ma le miniere restano in concessione a privati, con la costruzione di nuovi pozzi e nuovi forni; tuttavia, il complesso versa in uno stato di alterne crisi economiche, dovute soprattutto alla forte concorrenza americana sul mercato; dopo alcuni periodi di sospensione delle attività, si arriva all’inevitabile chiusura dello stabilimento nel 1962, sia per impoverimento dello strato sulfureo sia per le ormai troppo esose spese estrattive.
Dal 2010 un intervento di rigenerazione urbana ha bonificato il luogo e riconsegnato una parte a una sua rifunzionalizzazione: sistemazione stradale, creazione di piazze e altri spazi di aggregazione con cartellonistica informativa consente oggi ai visitatori di conoscere la storia del luogo.

Focus narrativi

Il poeta Vincenzo Masini ha composto nel 1759 un poema dal titolo Il Zolfo, in cui si lancia nella descrizione dell’attività estrattiva con annotazioni scientifiche ed erudite.

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Nella “Nuova Società delle miniere sulfuree di Romagna” rientrano in qualità di azionisti alcune personalità di spicco della politica italiana del periodo come Marco Minghetti, Antonio Zanolini e persino il famoso compositore Gioacchino Rossini.

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Riguardo il numero di impiegati nelle miniere ci sono giunte notizie circa il periodo del Conte Cisterni, quando “In data 3 settembre 1829, erano […] circa 500 dipendenti, ed occorrevano mensilmente ‘300 birocciari’ per il trasporto degli zolfi a Cesena ed a Rimini. Si è stimato inoltre che «la produzione di zolfo grezzo fu stimata nel periodo dal 1861 al 1962 in 409.000 tonnellate, vi lavorarono in media 250 operai, la punta massima s’ebbe nel 1910 con 441 lavoranti” (da Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria).

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Come diversi stabilimenti industriali italiani, le miniere di Formignano costituiscono un vero e proprio microcosmo in cui i lavoratori formano una comunità coesa e dal forte spirito identitario vivendo nelle abitazioni appositamente costruite per loro nel villaggio vicino la miniera. Il paesaggio visibile oggi a Formignano riconduce a un paese fantasma, con edifici in avanzato stato di degrado, ma ancora identificabili nelle funzioni svolte durante l’attività, come uffici, forni, pozzi, magazzini, ecc.

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Negli anni ‘60 la chiusura della miniera comporta un’emigrazione di massa dai luoghi adiacenti o dai borghi vicini. Oltre la mancanza di lavoro, subentrano presto problemi di natura idrogeologica a mettere a rischio gli edifici abitati costringendo le poche famiglie rimaste a spostarsi in luoghi più sicuri.

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Esistono diverse testimonianze di ex minatori che dipingono un ritratto veritiero della vita quotidiana a Formignano: esistono alcuni racconti facilmente raggiungibili, come quello di Leopoldo Fantini (liberamente consultabile) che descrive, anche in maniera minuziosa, le caratteristiche del luogo, gli spostamenti degli operai e alcuni aneddoti divertenti: “gli operai si spogliavano per indossare gli indumenti di lavoro che, considerando il loro grado di usura e degrado sembrava non fossero mai emersi dalla “buga”. Nessuno però visto il loro utilizzo vi prestava attenzione. Solo se qualcuno, da uno degli strappi del suo “vestiario” faceva mostra dei suoi “attributi” poteva scattare la battuta scherzosa a cui seguiva una risata generale. L’inconveniente si risolveva con una cucitura provvisoria che già si sapeva essere definitiva”.

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Fantini racconta anche delle abitudini e dei pasti in miniera: “Nel sottosuolo la giornata era divisa in tre turni, i primi due erano destinati alla produzione mentre il terzo, notturno, era riservato alla manutenzione. Non vi era intervallo per il pasto quindi quello che ognuno si portava nello “sacapen” veniva consumato nei brevi momenti di pausa. Stranamente nella “buga” quello stesso cibo assumeva un gusto che se riportato all’esterno diventava immangiabile”.

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Un’altra testimonianza importante riguarda le condizioni dei lavoratori e le conquiste ottenute dalle lotte operaie all’interno della fabbrica, come la giornata lavorativa di 8 ore o l’introduzione dell’elmetto di sicurezza per gli operai: “l’azienda, per motivi di sicurezza, impose l’uso dell’elmetto nel sottosuolo. I minatori si rifiutarono di indossarlo adducendo il motivo, in parte vero, che la larga tesa di questo picchiava da tutte le parti “facendo risuonare la testa come una campana”. Dopo lunghe peripezie si giunse ad un compromesso con l’adozione di elmetti senza tesa [la parte inferiore sporgente di cappelli ed elmetti che circonda la cupola, n.d.r.]”.

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Nel documentario di Luca Berardi e Marco Riva, Questo bisogna ricordarlo. Viaggio nella miniera di Formignano, si rintraccia la preziosa testimonianza di un altro ex minatore, Balilla Righini, che racconta le condizioni di salute più che precarie cui giungevano gli operai dopo anni di lavoro nelle miniere.

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Nell’archivio della Regione Emilia Romagna, è consultabile la documentazione dell’attività mineraria dal 1917 al 1962. Di particolare interesse risultano le carte del medico della miniera, che riportava “le reazioni sull’impiego di sale in miniera per curare l’anchilostoma la cosiddetta anemia del minatore”.

Spunti videoludici

Il complesso minerario costituisce un mondo di inesauribili risorse narrative. I racconti degli ex operai e l’ampio materiale audiovisivo a corredo costituiscono un importante supporto per lo sviluppo di opere videoludiche che possano valorizzare il passato, lo stile di vita e le condizioni dei lavoratori, oltre che le loro storie personali contraddistinte da sofferenze per la fatica della professione e per i rischi corsi dal punto di vista sanitario. Eroi del quotidiano e funamboli tra i pozzi, ogni testimonianza ci riconduce a un cosmo iconografico del mondo videoludico degno di Lara Croft, Nathan Drake o al loro capostipite, Indiana Jones.

[Bibliografia]

– P. Magalotti, Paesi di zolfo. Le miniere di zolfo nel cesenate. Vicende storiche, economiche e sociali di un’attività scomparsa, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1998.
– O. Fallaci, Un cappello pieno di ciliege, Milano, BUR, 2009.
– G. Cagni, Miniere di zolfo in Italia, Firenze, Nabu Press Edizioni, 2010.

[Sitografia]

Miniere di Romagna
Comune di Cesena

[Scheda Film Commission]

Emilia-Romagna Film Commission

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