Descrizione
Sotto la superficie di Santarcangelo di Romagna, paese che si sviluppa attorno a un basso colle (il colle Giove, alto appena 90 metri sul livello del mare) e che viene bagnato da due fiumi (il Marecchia e l’Uso, che contornano poi la val Marecchia), si cela un vero e proprio labirinto di cunicoli, grotte, pozzi, gallerie e pertugi. Uno spazio abitabile sorprendentemente esteso, che appare isolato dal mondo e sommerso da un silenzio ancestrale, la cui origine è tutt’ora ignota.
Cenni storici
La maggior parte degli ipogei ha origine medievale, periodo in cui le cavità e le grotte venivano usate come depositi alimentari o cantine (la bassa temperatura del sottosuolo, fissa sui 12 gradi centigradi, conservava perfettamente il Sangiovese della zona). Altri ipogei, secondo alcuni studiosi, risalgono però a periodi molto precedenti: si sostiene che venissero usati come grotte paleocristiane o come luoghi di culto in età romana. Tutti vennero messi in comunicazione durante la Seconda guerra mondiale, quando gli abitanti di Santarcangelo li utilizzarono come rifugio in caso d’emergenza.
Focus narrativi
All’interno del Colle Giove sono presenti 153 ipogei artificiali scavati nell’arenaria e nell’argilla e distribuiti su tre livelli. A collegarli tutti un sistema di pozzi, cavità e corridoi. Il sistema di ipogei non è accessibile dall’esterno: vi si può entrare tramite delle scale che si aprono in alcune abitazioni private e, in rarissimi casi, da passaggi segreti difficilmente individuabili a meno che non se ne sappia già l’esistenza. La distribuzione su tre livelli deriva dalla struttura del colle in cui sono state scavate le grotte: esso è infatti scaglionato su tre gradoni naturali che creano altrettante zone pianeggianti.
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Gli ipogei vengono distinti in due gruppi: quelli “a struttura semplice”, che presentano generalmente un corridoio di poco più di un metro di larghezza, con copertura a botte o a crociera e contornato di nicchie laterali “a pettine”, e quelli “a struttura complessa”, che sono in numero molto più limitato (circa cinque) e presentano diramazioni molto più articolate e capillari (che ruotano spesso attorno a stanze rettangolari o circolari con tanto di colonne e coperture a cupola).
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Luigi Renato Pedretti è lo studioso che più di tutti si è dedicato alle indagini riguardanti le origini delle grotte, prodigandosi nello studio approfondito di documenti opportunamente catalogati. L’ipotesi dell’uso con finalità di conservazione degli alimenti o dei vini sembra, per Pedretti, non giustificare fino in fondo la struttura dei luoghi o le loro caratteristiche: più credibile il sospetto di frequentazioni rituali da parte di monaci Basiliani o di fedeli pagani (il Dio Mitra, tra gli altri, chiedeva ai propri fedeli di fare uso di templi sotterranei – noti anche appunto come templi mitrei). La possibilità di un’origine cultuale sembra confermata dai frequenti pozzi, atti a far sì che l’aria circolasse abbondantemente all’interno dei cunicoli e li rendesse abitabili, nonché dal frequente uso di colonne non portanti, che hanno quindi funzione puramente ornamentale.
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Affascinante la possibilità che le grotte venissero utilizzate per riti iniziatici o per culti antichi, smarriti nel tempo. Tra tutti non si esclude il culto della Dea Madre, che vede negli spazi degli ipogei il suo più naturale luogo di pratica: il Colle Giove, messo in parallelo col ventre materno, potrebbe aver favorito in questi luoghi la presenza di eremiti pagani, di rituali e di preghiere propiziatorie. Affascinante e curioso il fatto che siano stati poi utilizzati come cantine: il vino, purpureo come il sangue che fuoriesce dal grembo della Dea, sembra essere l’ultima tra le involontarie allegorie di questo sistema di grotte.
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Rarissimi, se non addirittura introvabili, i documenti che citano gli ipogei al di là del loro valore di mercato. Il primo si ha forse nel 1516, in cui comunque ci si riferisce alle grotte parlando della loro funzione di depositi vinari. Nessun documento parla espressamente della loro costruzione: si suppone allora che siano presenti fin da tempi ben più remoti. Luigi Renato Pedretti scrive di essere quasi riuscito a risalire a una pergamena che cita gli ipogei risalente al 300 d.C. E scritta in greco, latino ed egiziano. Purtroppo tale documento risulta scomparso dall’Istituto Pergamene di Roma.
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Tra i pochi ipogei visitabili oggi la Grotta Contradina, la cui pianta è estremamente affascinante: il lungo corridoio contornato di 26 nicchie culmina in un’ampia sala circolare, il cui soffitto è a cupola. La stanza, simmetrica, ricorda immediatamente la forma di un tempio. Tale struttura, analoga a quella della Grotta delle Monache (posizionata nel punto più alto del centro abitato), non può che avvalorare l’ipotesi della funzione cultuale.
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Scrive Pedretti a proposito degli ipogei: “[Là] il silenzio regna sovrano, giacchè un vuoto di tomba ti dà l’impressione che il suo abitatore sia fuggito da qualche parte. Continuando però ad aleggiare lì attorno, tra una nicchia e l’altra, provocando così un tremito di paura e di segreta angoscia” (da Archeologia e miti in Santarcangelo di Romagna, 1957).
Spunti videoludici
Il sistema di ipogei, esteso ma circoscritto a formare quasi un circuito chiuso e impermeabile alla luce del sole, è un microcosmo che ben si presta per sua stessa natura all’agire e alla narrativa videoludici. In particolare, qualora proprio non si voglia chiudere un intero arco narrativo entro confini così opprimenti, lo si potrebbe immaginare come punto di partenza o di arrivo ideale per un viaggio o per un percorso di (ri)scoperta. Affascinante il clima misterioso e religioso del luogo, la sua oscurità e il suo parallelo (esoterico) col ventre materno, tanto in voga negli spazi horror del videogioco (si pensi a Silent Hill) quanto efficace dal punto di vista atmosferico e iconografico.
Da valutare, dall’altra parte, l’uso degli ipogei in tempo di guerra: l’idea di ripercorrere il timore di un bombardamento in un sistema di grotte sotterranee, con tutte le conseguenze del caso (rapporto tra rifugiati e gestione delle risorse – vedi il parallelo di This War of Mine), non può che sembrare un modo adatto per valorizzare un labirinto di spazi così, in fin dei conti, antico ma al contempo necessario in una contemporaneità disastrata e minacciosa (quella del conflitto bellico).
Fonti e link
[Bibliografia]
– Società di studi romagnoli, Le grotte di Santarcangelo: atti della giornata di studi, Santarcangelo, 15 maggio 1988, Cesena, Stilgraf, 1994.
[Sitografia]
i.a.t. Santarcangelo
Romagna gazzette
[Scheda Film Commission]
Emilia-Romagna Film Commission