Diga del Gleno

Descrizione

La diga del Gleno è uno sbarramento costruito tra il 1916 e il 1923 sul torrente Gleno, in provincia di Bergamo, per raccogliere le acque dei fiumi Nembo e Povo e produrre energia elettrica. Situata a 1500 metri d’altitudine, la struttura avrebbe dovuto essere il primo esempio nel mondo di diga realizzata utilizzando due diverse tipologie costruttive: “a gravità” per la parte inferiore e “ad archi multipli” per quella superiore. La mattina del 1° dicembre 1923, a pochi mesi dalla fine dei lavori, la diga però cedette e le sue acque si riversarono sui paesi della Valle di Scalve e della Val Camonica diventando di fatto una delle tragedie più gravi della provincia. I morti furono 356 ma decine di corpi non furono mai trovati o identificati. Oggi i resti della diga, circondati dal verde della natura e l’azzurro del lago che giace al loro fianco, caratterizzano quella che è diventata una vera e propria meta turistica.

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Cenni storici

La prima richiesta di concessione per l’utilizzo delle acque del fiume Povo per produrre energia elettrica e per la conseguente costruzione della diga risale al 1907. Tale richiesta passa prima tra le mani dell’ingegner Carlo Tosana, poi all’ing. Giuseppe Gmur e infine al titolare della ditta Galezzo Viganò. Nel 1917, dopo l’approvazione da parte del Ministero dei lavori pubblici, iniziano ad essere attuati i primi interventi, anche se il progetto (firmato da Gmur per conto di Viganò) viene ufficialmente presentato solo nel 1919, anno in cui sarà avviata la costruzione della diga vera e propria. Nel 1920 Gmur si ammala e viene sostituito dall’ing. Giovan Battista Santangelo. Nello stesso anno la Prefettura di Bergamo riceve alcune segnalazioni riguardo ai materiali utilizzati nella costruzione, dei quali verranno raccolti alcuni campioni mai analizzati. Nel 1921 arriva l’approvazione del progetto da parte del Genio Civile ma, durante l’attesa e ormai a lavori iniziati, il progetto già aveva subito dei cambiamenti: all’idea iniziale di realizzare la struttura utilizzando la tecnica a gravità, si aggiunse quella di implementare anche la tecnica ad archi multipli. Nel giugno 1922 il Ministero ordina quindi il fermo dei lavori e la presentazione del nuovo progetto. La costruzione però non verrà mai interrotta e il progetto sarà presentato solo nei primi mesi del 1923, quando ormai la diga era quasi completata. Durante l’anno saranno segnalate diverse perdite che diventeranno evidenti a partire dal 23 ottobre 1923, giornata nella quale il bacino si riempie per la prima volta a seguito di forti piogge. Sei milioni di metri cubi d’acqua rimarranno al suo interno fino alle 7.15 dell’1 dicembre 1923, attimo in cui avverrà il crollo della struttura, causandone il completo svuotamento in soli 15 minuti.

Focus narrativi

Il primo paese a essere colpito dall’enorme quantità di acqua mista a detriti in uscita dalla diga fu Bueggio, frazione di Vilminore, seguito da Dezzo, completamente raso al suolo, Angolo e Corna di Darfo. Dopo aver distrutto centrali elettriche, causato incendi e un gran numero di vittime, l’ondata raggiunse il Lago d’Iseo, 45 minuti più tardi rispetto al crollo, facendo alzare di un metro il livello delle acque.

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Nei giorni successivi, quel che rimane dei territori colpiti riceve aiuti dalle zone circostanti nonché la visita di diverse personalità rilevanti tra cui il Re Vittorio Emanuele III e Gabriele D’Annunzio. Entrambi faranno visita, anche se in momenti diversi, ai feriti in ospedale, alle salme e ai superstiti al lavoro sulle macerie. D’Annunzio, dopo aver donato 6500 lire al Comitato di soccorso, scriverà in una lettera indirizzata al tenente Manlio Barilli di essere rimasto tremendamente colpito e angosciato dalla tragedia.

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Fin dai primi mesi di costruzione della diga, tra gli abitanti dei paesi limitrofi circolavano voci riguardo ai lavori svolti in modo approssimativo. Voci che il 1° dicembre 1923 si rivelano veritiere.
Il 30 dicembre 1923 il Procuratore del Re fa ricadere la colpa dell’omicidio di più di 500 persone su Virgilio Viganò e sull’ ing. Santangelo. Il processo dura dal gennaio 1924 al 4 luglio 1927, data nella quale i due vengono condannati a tre anni e quattro mesi di reclusione con una multa di 7500 lire. Entrambi furono poi assolti lasciando la tragedia senza un vero e proprio colpevole ma con una serie di dubbi e perplessità che portarono alcune persone ad avvicinarsi all’ipotesi di attentato (ipotesi che non sarà mai verificata).

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La Val di Scalve, territorio maggiormente colpito dalla tragedia, deve il suo nome alla popolazione dei Camuni che la occupavano. Nome che deriva dal celtico skalf e significa “fessura”, descrive la natura della valle in sé e ricorda le miniere che caratterizzavano la zona. E fu proprio grazie a un fessura che Francesco Morzenti, il custode della diga, la mattina del 1° dicembre 1923 si rese conto di ciò che stava per accadere. Secondo la testimonianza che rilasciò poco dopo l’incidente, egli si trovava su una delle passerelle per riparare un tubo di raccolta delle acque di fuga quando sentì una scossa nella struttura e vide cadere un primo sasso, seguito da un secondo di dimensioni maggiori. Alzando lo sguardo si accorse poi della crepatura che aveva invaso uno dei piloni della diga e che causò il rapido crollo di parte della struttura.

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In occasione del centesimo anniversario della tragedia che avverrà nel 2023, sono stati presentati alcuni progetti destinati a mantenere viva la memoria di uno dei primi disastri industriali d’Italia. Già nel 2018 era stato istituito un “Archivio della Memoria” nel quale sono raccolte testimonianze, fotografie e documenti legati sia alla costruzione della diga che al disastro. Nel 2020 invece essa è stata candidata come Luogo del Cuore del Fai e ha visto la presentazione di un progetto per la realizzazione del Museo della Diga del Gleno, dedicato all’attività sportiva ma soprattutto a ricordare le vittime e le circostanze del crollo.

Spunti videoludici

Numerose sono le testimonianze raccolte nel corso degli anni di ciò che accadde il 1° dicembre 1923, molte delle quali raccontano il disastro in prima persona. Interessante potrebbe essere affrontare la tematica dei legami famigliari spezzati dalla tragedia all’interno di un percorso volto alla memoria degli eventi. Eventi che si sono ripetuti più volte nel corso della storia, in circostanze diverse ma con conseguenze altrettanto drammatiche: nel 1935 con il crollo della diga di Molare, nel 1963 con il Vajont e, ancora, nel 1985 nella miniera di Prestavel in Val di Stava, fino ad arrivare ai più recenti disastri industriali. Il tema della memoria può inoltre essere messo in contrasto con quella che è l’ambientazione attuale: un luogo sì abbandonato e simbolo di una tragedia ma che, immerso completamente nel verde, sembra aver ristabilito l’ordine naturale delle cose e sottolineato la supremazia della natura sulle opere dell’uomo. Figura interessante attorno alla quale costruire un racconto video ludico può essere quella del custode della diga, già presente fin dall’inizio dei lavori, fu il testimone più vicino a ciò che accadde quella mattina.

[Bibliografia]

– Bonomo, B.M., La tragedia della diga del Gleno. 1° dicembre 1923. Indagine su un disastro dimenticato, Milano, Ugo Mursia Editore, 2016;
– Barbisan, U., Il crollo della diga di Pian del Gleno: errore tecnico?, Milano, Tecnologos Editore, 2007.

[Sitografia]

Gleno, Una comunità di eredità
Scalve.it
Bergamonews
Storie dimenticate
Fessure.com

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