Castello di Grazzano Visconti

Descrizione

Il Castello di Grazzano Visconti è un edificio di origine militare, poi rimodellato a residenza gentilizia, situato in provincia di Piacenza. Attorno a esso sorge un complesso cittadino, nominato città d’arte, interamente rinnovato e costruito nel corso dei primi anni del Novecento. L’atmosfera del luogo, che richiama ogni anno centinaia di migliaia di turisti, richiama quella medievale da cui prende forte ispirazione pur non essendo nata nel Medioevo. Il lavoro sull’estetica del luogo è stato portato avanti dai proprietari, i Visconti di Modrone, come un accorato tributo all’iconografia preesistente: a oggi il Castello, assieme al borgo circostante, è allora una preziosa gemma che fa rivivere un passato remoto, mai propriamente vissuto, ricostruendo così un Medioevo ideale ed estremamente affascinante.

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Cenni storici

Complesso ricostruire anche solo a grandi linee la nascita del Castello di Grazzano Visconti. La località viene nominata a più riprese già dall’anno Mille in poi, ma è nel 1414 che in un atto ufficiale Sigismondo di Lussemburgo investe Bernardo Anguissola della potestà del Castello. Si suppone quindi che la struttura sia stata costruita attorno al 1390, probabilmente però sulla base di un edificio preesistente. Anguissola voleva risiedervi con la moglie Beatrice Visconti, sorella del primo duca di Milano.
Nel 1462 presso Grazzano si combatté in risposta di una sommossa popolare: sconfitti, molti contadini furono severamente puniti o giustiziati e non ottennero quanto richiesto. Nel 1521, Giacomo Anguissola riunisce un folto gruppo di contadini e banditi per assaltare la Piacenza sotto scacco dei francesi. L’assalto fallì miseramente, le truppe di Anguissola batterono in ritirata e furono inseguite, il Castello saccheggiato. Nel 1526, come ulteriore ritorsione, il capitano imperiale Sanseverino concesse ai Lanzichenecchi di fare nuovamente scempio di Grazzano. Gli Anguissola rimasero proprietari del castello fino al 1870, quando la morte di Filippo Anguissola lasciò la famiglia priva di eredi, estinguendo la dinastia.
I possedimenti di Filippo passarono alla madre Francesca Visconti, che passò a sua volta Grazzano al nipote Guido Visconti di Modrone. Il figlio di quest’ultimo, Giuseppe Visconti di Modrone, volle costruire attorno al castello un borgo che esaltasse il legame tra la famiglia e il territorio piacentino: fu progettista, architetto e perfino affrescatore, e completò i lavori di un piccolo paese circostante la rocca in soli due anni e grazie all’aiuto di Alfredo Campanini. Contestualmente, anche gli interni del castello furono ri-decorati e modernizzati. Come molti altri castelli, anche Grazzano venne trasformato da fortilizio militare a residenza gentilizia. Negli anni successivi, tra il 1906 e il 1908, il castello fu ristrutturato. Tutt’oggi i Visconti di Modrone sono proprietari di Grazzano.

Focus narrativi

Nel 1547 si rifugiarono tra le mura del castello i cospiratori che uccisero poi Pier Luigi Farnese a Piacenza. Giovanni Anguissola di Grazzano, proprietario del castello, era tra i cospiratori assieme ad Agostino Landi e i fratelli Pallavicino. Fu proprio lui a trafiggere il duca. Dopo l’omicidio, Giovanni Anguissola si stabilì in Lombardia e divenne un alto funzionario dell’Imperatore Carlo V. La congiura fu un completo successo, tanto che i colpevoli non furono puniti per tempo: Pier Luigi Farnese fu assassinato da persone che fino a poche ore prima si fingevano sue amiche.

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Nell’archivio della famiglia Visconti sono conservate tre pergamene dal prezioso valore documentale. La prima risale a Piacenza, 1 Aprile 1114, ed è un atto di vendita che testimonia il passaggio di proprietà da Sigifredo da Vigolzone ad Azone Aldeci. La seconda, del 23 Febbraio 1121, segna invece il passaggio di alcuni beni sul fondo di Grazzano da Cerolapersico ad Ansaldo. La terza, del 3 marzo 1152, segna la vendita di Grazzano a Bernardo, abate del monastero di San Sisto. Tutti gli atti sono firmati dai notai del tempo.

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Il simbolo della famiglia dei Visconti, che costella il Castello quanto il borgo di Grazzano, è il cosiddetto Biscione. Ricorrente nell’iconografia milanese, il grande serpente è rappresentato nell’intento di divorare Giona, figura biblica dell’Antico Testamento. Le origini del simbolo sono controverse: plausibilmente, essendo i Visconti originariamente in possesso della sola Anguaria (assonante col latino “Anguis”, “serpente” o “serpente marino”), il Biscione non nasce a seguito di una leggendaria impresa o di una nobile campagna. Ben diversa la versione ufficiale voluta dai Visconti, tanto interessante quanto implausibile, ma proprio per questo meritevole di approfondimento. L’origine del Biscione sarebbe secondo questa da rintracciarsi in Terra Santa, dove attorno al Mille Ottone Visconti, condottiero di un cospicuo numero di soldati, partecipò alle crociate e venne sfidato a duello, si dice, da un principe saraceno di grande abilità. Il duello avvenne nei pressi di Gerusalemme, dove Ottone era accampato coi suoi uomini. L’insegna del saraceno era una grossa serpe che mangiava un bambino, utilizzata in scherno del nemico cristiano come se quello fosse il piccolo Gesù stesso. Quando Ottone sconfisse il saraceno, gli tolse le insegne e tornò trionfante in patria. Il Biscione a sette spire sarebbe allora nato da quella gloriosa e simbolica vittoria, come segno del nemico sconfitto e delle sue insegne ribaltate in segno di superiorità, e trasformate in un simbolo della forza della fede. Un’altra leggenda simile sposta il duello e ne cambia gli interpreti: sarebbe stato Eriprando Visconti a strappare le insegne a un cavaliere tedesco sconfitto nel 1034. Altre leggende ancora narrano che Uberto Visconti, attorno al 1200, uccise un drago che terrorizzava i suoi concittadini. Petrarca racconta come origine del Biscione il fatto che Azzone Visconti, una notte, si svegliasse dal sonno vedendo sgomento una vipera uscire dal suo elmo, con le fauci spalancate, senza però morderlo in alcun modo. Ognuna di queste versioni appare implausibile, incoerente e anacronistica, o in alternativa del tutto infondata.

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Il borgo costruito ex novo da Giuseppe Visconti, che trasformò le sparute case coloniche in bellissime dimore medievali, è costruito con un occhio di riguardo per la scenografia e l’atmosfera, e raccoglie in sé quanto necessario per non costringere la popolazione iniziale a emigrare verso la città. Col tempo è diventato meta turistica preferenziale nel piacentino.

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Il Castello è circondato da un grande giardino, nel quale si trovano: un labirinto di siepi, una piccola chiesa, gli studi del Duca, un belvedere e svariati alberi secolari: un tiglio di oltre 80 anni e un platano di oltre 150 anni d’età.

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Tra le pareti del borgo si trova un misterioso dipinto con una scritta in caratteri gotici che, su un cartiglio, circonda lo stelo di un grande garofano rosso. La scritta, leggibile soltanto al contrario, recita: “impipatene e guarda in alto”. Forse è una provocazione lasciata dal creatore del borgo ai critici d’arte.

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Il borgo un tempo ospitava anche un mulino, successivamente smantellato, di cui oggi restano la grande ruota di ferro e la condotta che vi portava l’acqua.

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Una particolarità del borgo sono i camini: da ogni tetto ne svettano svariati, tutti diversi l’uno dall’altro, ognuno elegante, e con un ruolo puramente ornamentale.

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Il borgo ospita il Museo delle torture e il Museo delle cere.

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Tra le vie del borgo si trova anche una statua del tutto particolare, quella di Aloisa: fedele ricostruzione di un disegno che un medium, in tempi non troppo remoti, fece dopo essere entrato in contatto con un fantasma nella zona del Castello. Bassa, paffuta e ridente, la castellana defunta raccontò alla medium di essere morta di gelosia in seguito al tradimento del marito. Si dice che da allora di giorno vaghi per il Castello e per il parco, di notte invece si rifugi disperata tra le mura e, con fare manesco, aggredisca addirittura gli ospiti a meno che non le diano qualche dono. La leggenda, tramandandosi di generazione in generazione, attira ad oggi numerosi curiosi e turisti, alcuni dei quali affermano di aver incontrato in prima persona lo spettro.

Spunti videoludici

Sono rari i luoghi che devono la loro nascita e il loro sviluppo a una sola persona di riferimento: in questo caso, il rapporto tra il borgo e il suo (ri)fondatore è senza dubbio una trovata efficace per un videogioco che voglia intessere un racconto proprio su un parallelo narrativo tra spazi esteriori (l’esplorazione del paese e del castello) e spazi interiori (la psiche del fondatore). Facile immaginare una vicenda che porti un visitatore curioso e pronto all’avventura in un luogo evocativo e scenografico quanto Grazzano, in un viaggio che non può che culminare proprio addentrandosi nel Castello di Grazzano Visconti e scendendo a patti con la famiglia che l’ha abitato per così tanti anni. Il fantasma che si aggira per il castello e per il suo grande parco è solo uno dei motivi che potrebbero energizzare il racconto, spingendo l’utente a rifugiarsi o a compiere incarichi secondari (perché no, per ingraziarsi lo spirito come i visitatori). Interessante poi l’idea di sondare un luogo che, nel suo essere scenografico fin dalle fondamenta, fa da parallelo meta-testuale al gioco stesso, ambiente virtuale creato dallo sviluppatore e finalizzato, prima che all’esplorazione, alla costruzione di un’atmosfera e di un racconto ben precisi.

[Sitografia]

Grazzano Visconti
Grazzano.it

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