Bussecchio

Descrizione

Vicinissima al centro cittadino di Forlì, a soli tre chilometri di distanza, Bussecchio è una frazione del comune che si estende nella pianura per raggiungere Meldola. Nel Medioevo, la frazione ospitava una viva e fiorente comunità ebraica e le sue principali attività si raccoglievano attorno alla chiesa, fulcro nevralgico del quartiere.

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Cenni storici

Sul toponimo di Bussecchio e sulla sua storia, benché in parte collegata a quella del comune di Forlì, ci sono poche notizie certe. Quel che sembra certo è che la zona fosse ricca di acqua, forse addirittura paludosa, e che grazie a questa fu possibile costruire nel 1905 l’acquedotto destinato a rifornire l’intera città. Un cardinale cita con tutta probabilità Bussecchio già nel 1371, ma la variabilità del nome rendono difficile seguirne le tracce.

Focus narrativi

Secondo la leggenda, San Mercuriale (tradizionalmente riconosciuto come primo vescovo di Forlì) affrontò e sconfisse un temibile drago che seminava devastazione tra il suo foro e quello, vicino, di Forlimpopoli. Ad aiutarlo venne anche Ruffillo, vescovo di quest’ultimo. La battaglia avvenne all’incirca nel V secolo. I due eroici vescovi rinchiusero il drago in un pozzo da cui non sarebbe mai più uscito, di qui una delle probabili origini del nome della frazione: Pozzecchio, e quindi Bussecchio. La leggenda si presta anche a una lettura simbolica: il drago rappresenterebbe le acque torbide e inospitali della palude; l’intervento dei vescovi (significativamente finalizzato al confinamento della creatura in un pozzo) un parallelo all’opera di bonifica effettuata nel corso degli anni. L’icona del pozzo torna a più riprese nella toponomastica di Bussecchio: il nome della frazione potrebbe infatti derivare da “psecia”, assonante col dialettale “secia”, cioè “secchio” – di nuovo l’immaginario del luogo sembra ruotare attorno a un ipotetico pozzo, un luogo da cui le acque sorgono o in cui le acque vengono confinate, interrotte. Ci si collega quindi all’acquedotto, frutto di svariate trivellazioni, che irrorerà poi d’acqua tutta Forlì a partire proprio da queste terre (in particolare dal podere “Fontanelle” – ancora l’acqua torna a contaminare l’immaginario locale). A proposito dell’ipotesi che lega il nome della frazione all’acqua, a un pozzo, a una palude o a qualsiasi residuato iconico di una di queste tre cose, così scrive Ettore Casadei: “Il nome di S. Vitale in Bussecchio (bossecchio, pozzecchio, padulio) indica luogo paludoso, il che trova conferma nelle correnti d’acqua sotterranee mercè le quali si è potuto fondare l’Acquedotto, che fornisce acqua abbondante a tutta la città”.

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Altra ipotesi circa il nome indica come origine toponomastica alcune piante: buxetus, buxus, i corrispettivi latini del bossolo, del busso. Antonio Pollioni sostiene questa tesi nel suo Toponomastica Romagnola, riecheggiato poi da Giovan Battista Pellegrini nel suo Toponomastica Italiana. Alcune riserve su questa versione nascono dalla consapevolezza che, essendo stata Bussecchio un’area con tutta probabilità paludosa, non sussistono motivi per cui avrebbe dovuto prendere il nome da una pianta che normalmente cresce e prolifera in climi aridi, montani e ricchi di sassi, e per giunta spesso afflitta da marcescenza alle radici in caso di umidità. Il Libro Biscia, raccolta di volumi di atti giuridici dell’abbazia di San Mercuriale (894-1200) si riferisce alla frazione con Buseclus, Boseclus, fundus Boseclus. La Descriptio Romandiole del Cardinale Anglic del 1371 usa invece Bosecli. Indicando Bussequa un bifolco, cioè anticamente un guardiano dei buoi, queste possibilità tornano a suggerire la presenza di una zona palustre bonificata, il cui risultato sarebbe stato ai tempi una distesa erbosa priva di alberi, ottima per i pascoli.

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Da Bussecchio deriva il nome di un importante ceppo familiare ebraico, quello dei Buzecchi. Evolutosi poi, in base a varianti grafiche e geografiche, in Busecchi, Bussecchi, Buzecco, Bozecchi, Buzzecchi e altri, il ceppo è proprio della frazione di Forlì in quanto durante il Medioevo proprio qui era presente una fiorente e attiva comunità ebraica. I Buzecchi si trasferirono a Roma sul finire del Medioevo, e la sua presenza nei pressi di Forlì è testimoniata già a partire dal XIII secolo, quando attorno al 1240 viene documentata la fondazione di una sua sinagoga. Spostandosi a Roma, i Buzecchi vennero poi inglobati nella famiglia degli Anaw, in italiano Mansi, Piatelli, Pietosi, o Umani. Tra i Buzecchi è opportuno ricordare la figura di Bengiamino Ben Giuda (1295-1355 circa): fu esegeta, grammatico e filosofo e nacque a Roma. Il poeta Emmanuele da Roma ne parla come di un uomo di scienza entusiasta, e come di un filosofo. A lui si devono svariati scritti esegetici. La comunità ebraica di Forlì fu particolarmente estesa e influente a causa del fatto che gli ebrei sul territorio nel Medioevo potevano possedere sia terreni che fabbricati, diritto che fu poi ristretto ai soli fabbricati nel Cinquecento, quando la città passò in mano allo Stato della Chiesa. Non fu un caso che proprio a Forlì si tenne un importante congresso ebraico agli inizi del XV secolo (per la precisione il 18 maggio 1418): vari delegati delle comunità di Padova, Ferrara, Bologna, Roma, si riunirono per prendere decisioni determinanti sul comportamento da avere nel riguardo di questioni etiche o sociali, e per inviare una delegazione al papa Martino V che lo spingesse a fare un passo indietro sulla legislazione antigiudaica.

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Sulla scia di determinazione che la ricostruzione post-bellica disseminava, assieme alla disperazione, per tutta la penisola, un gruppo di residenti fondò la cooperativa Casa del Lavoratore: un luogo in cui i cittadini si potevano riunire per coordinare il proprio impegno in campo politico, sociale e culturale. Una delle primissime iniziative ricreative della Casa del Lavoratore fu una gita a Cesenatico, cui parteciparono molte famiglie che, una volta raggiunta la città, si imbarcarono per un giro lontano dalla riva. Così racconta il Giornale dell’Emilia del 28 luglio 1946: “Verso le 15.30 di domenica scorsa una comitiva composta di gitanti che si erano portati a Cesenatico dalle frazioni Ronco e Bussecchio di Forlì con un automezzo, contrattavano una gita in mare, al prezzo di 30 lire per ogni persona adulta […] Salirono così 23 o 24 persone, tutte delle suddette località forlivesi. È impossibile indicare con precisione il numero dei gitanti, non essendo ancora stato possibile identificare tutti i salvati, il cui numero dovrebbe aggirarsi da sei a sette […] La barca – dal nome Consolata – partiva puntando verso il largo del molo. Il tempo non era cattivo, nonostante vi fossero segni precursori di notevole peggioramento […] Giunti all’altezza del cimitero di Cesenatico, la barca veniva presa dalla tempesta […] Tutti i passeggeri, in grandissima maggioranza donne e bambini, si trovarono in mare. Sembra che gli uomini presenti tentassero ripetutamente di far star aggrappati tutti all’orlo della barca, la quale, benché piena d’acqua, non è affondata completamente, ma è rimasta, invece, inclinata sul fianco sinistro con la vela appoggiata al mare. Sarebbe stata la violenza del vento a strappare i malcapitati dal legno e dal sartiame, provocando l’annegamento di essi, meno alcuni che poterono essere salvati da una barca che si trovava nei pressi e che proveniva da Pesaro. Essa affrettatamente salvava quanti poteva e proseguiva la corsa, perché costretta dal timone sfiorante il fondale […]”. Diciassette le vittime della tromba d’aria che si abbatté sulla costa che andava da Cervia a Riccione, piante poi collettivamente da tutta la città di Forlì. La Casa del Lavoratore di Bussecchio ricorda periodicamente le vittime della tragedia, mentre due lapidi (una sulla banchina del porto di Cesenatico, l’altra a Fontanelle in Bussecchio) commemorano l’evento citando “l’azzurro ed assolato mare tentò gli ignari che il duro lavoro quotidiano ivi aveva spinto in cerca di refrigerio”.

Spunti videoludici

Fin dal controverso nome, Bussecchio ha un legame privilegiato con l’acqua: quella delle paludi, dei pozzi, ora rappresentata da un drago, quella marina che inghiottì le diciassette vittime nel 1946. Ecco che un racconto videoludico, intrecciandosi con l’eco di un’iconografia alchemica fatta di archetipi e suggestioni, potrebbe essere simbolico e attraversare più epoche, dalla leggendaria uccisione del drago acquatico alla bonifica delle terre (evento che forse è uno soltanto), dalla guerra all’affondamento della Consolata. Una storia che nasce nell’acqua, cresce nell’acqua, che talvolta muore nell’acqua, e che solo un racconto interattivo che abbia sufficiente attenzione per la direzione artistica e per la rappresentazione visiva può ben interpretare.

Come non ipotizzare poi, nel mezzo di tutta quest’acqua (che all’occorrenza può diventare niente più che un motivo ricorrente o uno sfondo), una vicenda politica che indaghi gli usi e i costumi delle comunità ebraiche medievali, magari col pretesto del grande congresso del 1418: una condizione socio-culturale in continua evoluzione, che può essere affascinante testimoniare attraverso uno spaccato di vita opportunamente approfondito e significativo come quello di quella importante adunanza.

[Bibliografia]

– Enrica Mancini (a cura di), Casa del lavoratore di Bussecchio: storia e storie di sessant’anni, Forlì, Sapim, 2007.

[Sitografia]

Forlipedia
Jewish Encyclopedia – Bozecchi
Cesena Today

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