Basilica di San Petronio

Descrizione

La Basilica di San Petronio è sicuramente la chiesa principale di Bologna, pur non essendone la cattedrale; con le sue elevate dimensioni (132 m di lunghezza, 66 di larghezza e 47 di altezza), che ne fanno una delle chiese più grandi di Italia e d’Europa, e con “l’ardua fronte ciclopica”, come diceva Carducci, domina Piazza Maggiore, la piazza centrale della città.
La decisione in merito alla costruzione della basilica fu presa per iniziativa e su sovvenzione del ricostituito Comune e il nuovo tempio civico avrebbe dovuto sintetizzare e celebrare i migliori valori civili e religiosi: la fede, l’arte, la passione politica, il senso di comunità; per questo motivo la basilica venne dedicata a San Petronio, ottavo vescovo di Bologna tra il 431 e il 450, al quale venivano attribuite la ricostruzione della città dopo una presunta distruzione per volere dell’imperatore Teodosio, e la fondazione dello Studio bolognese. Un luogo di culto dunque ma anche un tempio civico, vero e proprio simbolo della riconquistata libertà del popolo.
Qui hanno fatto ingresso solennemente papi e sovrani che nei secoli visitarono Bologna: dodici pontefici (da Alessandro V a Francesco); tra i sovrani, Federico III, Francesco I di Valois, Carlo V. Qui si svolsero due sessioni del Concilio di Trento nel 1547, e sul pulpito della basilica salirono predicatori famosi come San Bernardino da Siena nel 1423 o Girolamo Savonarola nel 1493.
Per fare spazio al tempio, il cui orientamento non è in linea con la prassi liturgica dell’epoca, che prevedeva la zona absidale a est, ma segue la direzione nord-sud degli assi viari di origine romana, fu raso al suolo un intero quartiere, comprese alcune torri e otto edifici sacri.
La costruzione avrebbe dovuto assumere dimensioni impressionanti, una lunghezza di circa 200 metri tale per cui la parte absidale sarebbe quasi arrivata a sfiorare la cosiddetta cinta muraria del Mille; tale grandiosa opera non verrà però mai portata a termine e nel XVII secolo si procederà solamente a completare la parte fino ad allora costruita.
L’incompiutezza della basilica è palesemente evidente già dalla facciata policroma nel contrasto tra la minuziosa realizzazione della zona inferiore in marmo rosso di Verona e pietra d’Istria e la parte superiore, scura e scabra in laterizio. Nella facciata è presente uno dei capolavori della basilica: la Porta Magna di Jacopo della Quercia dove, nei pilastri laterali, nell’architrave e nel coronamento sono scolpite a bassorilievo storie della Genesi, dell’infanzia di Cristo, e i profeti dell’antico Testamento; nella lunetta si trovano invece le figure a tuttotondo della Madonna con bambino, San Petronio e Sant’Ambrogio, vero fulcro di tutta la rappresentazione.
L’interno della basilica, in stile gotico italiano, è suddiviso in tre larghe navate con copertura a volta ogivale; lungo ogni campata delle navate laterali si aprono due cappelle quadrate che contengono opere del Parmigianino, di Giovanni da Modena, di Lorenzo Costa, del Sansovino, di Amico Aspertini, di Donato Creti e di Giacomo Manzù.
A coronamento dell’altare maggiore si trova il ciborio del Vignola riccamente decorato successivamente in epoca barocca.
Nella navata sinistra è presente anche la più lunga meridiana al mondo, realizzata dal famoso astronomo Cassini nel 1657, che si spinge sul pavimento obliquamente per 67 metri.

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Cenni storici

Il progetto originale della basilica di San Petronio fu messo a punto dall’architetto Antonio di Vincenzo (che già aveva eretto il vicino palazzo dei Notai e quello della Mercanzia) e la prima pietra venne posta, con particolare solennità, il 7 giugno 1390; del progetto originario di Antonio di Vincenzo non conosciamo l’esatta articolazione visto che l’enorme modello in legno e scagliola in scala 1:12 fu smantellato nel 1402 alla sua morte.
Procedendo dalla facciata verso l’abside, cosa assolutamente inconsueta, vennero edificate, in pochi anni, le prime due campate affiancate da quattro cappelle ma alla morte dell’architetto Antonio di Vincenzo i lavori si trovarono privi di un’autentica guida e di un punto di riferimento; cominciarono quindi una serie interminabile di capomastri, lapicidi, scultori, carpentieri, progettisti fino al progetto cinquecentesco di Arduino degli Arriguzzi che prevedeva enormi dilazioni e una grandiosa cupola.
Anche quest’ultimo progetto non verrà mai realizzato e la parte absidale della basilica verrà terminata nel XVII secolo con la costruzione dell’abside poligonale.
La data ufficiale di chiusura del lavori, con la consacrazione ad opera del cardinale Lercaro, si è avuta solo il 3 ottobre 1954, ben 564 anni dopo la posa della prima pietra; la consacrazione non avrebbe potuto comunque avere luogo prima della firma dei Patti Lateranensi nel 1929 quando la chiesa passò dal Comune, del quale era ancora proprietà, alla diocesi.

Focus narrativi

Come detto, la basilica di San Petronio è una chiesa ampiamente incompiuta; nel corso dei secoli numerosi architetti e scultori hanno proposto progetti per il completamento sia della struttura che della facciata.
Poco più di un secolo dopo la posa della prima pietra, nel 1514 Arduino degli Arriguzzi, nominato ingegnere di fabbrica dal 1507, si trovò ad affrontare il problema della conclusione planimetrica della basilica, la cui costruzione ormai arrivava fino alla quinta campata, presentando undici cappelle per parte. L’Arriguzzi presentò un progetto monumentale che, se realizzato, avrebbe fatto di San Petronio la chiesa più grande di tutta la cristianità, superando anche la basilica di San Pietro; il suo studio prevedeva una grande cupola ottagonale che necessitava di un aumento spropositato delle dimensioni del transetto.
Si iniziarono a elevare perciò quattro dei pilastri che avrebbero dovuto sostenere la cupola ma fu presto evidente che questo progetto sarebbe rimasto senza conclusione; infatti nel 1562, per volontà del vicelegato cardinale Pier Donato Cesi, si iniziò ad edificare il palazzo dell’Archiginnasio, nella zona adiacente alla basilica che avrebbe dovuto essere occupata dal transetto. Questo episodio contribuì a creare la leggenda che San Petronio non venne mai conclusa per volere del Papa in quanto sarebbe diventata più grande di San Pietro a Roma.
Anche per la facciata vennero proposti diversi progetti per il suo completamento ad opera di artisti del calibro del Vignola, di Giulio Romano, di Domenico Tibaldi, del Palladio, di Baldassarre Peruzzi e del Terribilia; venne indetto anche un concorso internazionale nel 1887 e successivamente nel 1933 nel periodo fascista ma, forse fortunatamente, non venne eseguito mai alcun lavoro.

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La Basilica di San Petronio custodisce uno dei più antichi simboli della fede cristiana di Bologna: le quattro croci che, secondo la tradizione, vennero poste a spirituale difesa della città forse da Sant’Ambrogio intorno al 392-393 o forse, ma meno probabilmente, da San Petronio nel V secolo. Queste croci, che poggiano su delle colonne di origine romana, non sono le originali ma risalgono al X-XII secolo; originariamente erano poste a ridosso della prima cerchia di mura, quella di selenite costruita in seguito alle invasioni barbariche, in corrispondenza dei quattro punti cardinali vicino ad altrettante porte della città e vennero spostate nella basilica nel 1798.
Queste quattro croci sono: la croce dei Santi Apostoli ed Evangelisti, la croce dei Santi Martiri, la croce delle Sante Vergini e la croce di tutti i Santi.

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Sulla facciata di San Petronio si trovava un tempo una scultura di immenso valore: una delle due sole statue bronzee di Michelangelo, entrambe oggi andate perse!
Il 21 febbraio 1508 venne posta sulla facciata la grande statua raffigurante papa Giulio II seduto e benedicente realizzata dal celebre scultore toscano. Con questa statua il papa, che aveva appena riconquistato la città cacciando la famiglia dei Bentivoglio, voleva sottolineare come Bologna, nonostante la basilica fosse stata costruita dal comune come simbolo di libertà e autonomia, era sotto il dominio pontificio. La statua durò però pochi anni e nel 1511 fu abbattuta dai seguaci dei Bentivoglio; i resti vennero venduti al duca Alfonso d’Este di Ferrara che li utilizzò per realizzare una colubrina, un piccolo cannone, chiamata “Giulia”.

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Nella quarta cappella di sinistra, la cappella Bolognini, è presente l’affresco di Giovanni da Modena raffigurante il Paradiso e l’Inferno. Nella parte alta della parete il fulcro è costituito dall’Incoronazione della Vergine e dalla Santa Trinità circondati da un’iridescente schiera di angeli; al di sotto, assisi in fila entro banchi, con gli sguardi rivolti verso Dio (qualcuno però guarda altrove, verso l’osservatore o verso il vicino di panca), si trova un’assemblea di beati costituita da santi e profeti dell’Antico Testamento.
Nella parte inferiore delle parete si trova invece l’Inferno: all’interno di un cupo e sulfureo antro nelle viscere della terra i dannati sono raggruppati in bolge (qui rappresentate come caverne) contrassegnate da cartigli (gola, superbia, avarizia…) attorno alla figura gigantesca di Lucifero, intento a divorare con due teste (una delle quali posta nella zona del bacino) Giuda e Bruto, traditore di Cesare, il quale di fronte al vessillo della Superbia “si storce e non fa motto!” (Dante, Inferno, canto XXXIV, v. 66). I condannati alla dannazione eterna (contadini, nobili, artigiani, prostitute, prelati…) si agitano e strepitano tra mille tormenti, percossi da demoni feroci, avvolti dalle fiamme, sofferenti, dileggiati e vilipesi; alcuni dei tormenti sono anche parecchio sadici e fantasiosi, come avviene ad un lussurioso fatto ruotare su un girarrosto a manovella sopra un fuoco da un diavolo o come alcuni peccatori di gola che demoni mostruosi simili a lupi alimentano a forza con enormi spiedoni di carne.
L’unico personaggio isolato rispetto alla massa dei dannati si trova in alto sulla destra, nudo, trascinato a terra da un demone per la gola: si tratta del profeta Maometto, collocato da Dante nel canto XXVIII dell’Inferno e precisamente nella bolgia dei seminatori di discordie in campo religioso.

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Nel 1530 la basilica fu al centro di un fatto storico di primaria importanza: l’incoronazione di Carlo V d’Asburgo a imperatore del Sacro Romano Impero da parte del papa Clemente VII. A seguito del sacco di Roma operato dalle truppe imperiali dei lanzichenecchi nel 1527 seguirono anni di intensa attività diplomatica tra le due parti avverse per tentare un riavvicinamento; nel 1530 si giunse così all’incontro a Bologna, seconda città per importanza dello Stato Pontificio, tra il Papa e l’Imperatore.
In occasione di tale evento Bologna divenne per alcuni mesi il centro d’Europa; il Papa e l’Imperatore infatti prima di procedere all’incoronazione si incontrarono, con le rispettive delegazioni, numerose volte nel Palazzo Pubblico, oggi Palazzo d’Accursio, dove risiedevano entrambi. Il Papa giunse a Bologna a fine ottobre del 1529 attraversando lo Stato Pontificio mentre Carlo V arrivò in città, via mare da Barcellona a Genova, all’inizio di novembre. Finalmente, dopo molti preparativi, il 24 febbraio del 1530 si arrivò all’incoronazione dell’Imperatore.
Dopo l’incoronazione, passando per via degli Orefici e per le vie del centro, si svolse un processione dell’Imperatore e del Papa su un unico baldacchino seguiti da nobili, duchi, marchesi, ambasciatori, cardinali, diversi prelati, magistrati, il governatore di Bologna, soldati…

Spunti videoludici

Tra i simboli della città turrita, San Petronio colpisce il visitatore per il senso di incompiutezza denunciato già dalla facciata, divisa nettamente in orizzontale in due parti, una decorata e l’altra più grezza. In questo senso la basilica si presta a divenire emblema della città e dei conflitti politici, interni ed esterni, storicamente fondati o presunti, che la videro protagonista. A partire dallo scampato “pericolo” – nella prospettiva del potere centrale del papato – che San Petronio divenisse il luogo di culto più grande di tutta la cristianità. Da qui il possibile sviluppo di filoni narrativi che superano i confini della città.

L’incompletezza della facciata si presta inoltre a sviluppare un videogame proprio volto all’ultimazione architettonica della basilica.

La meridiana più lunga al mondo, vero e proprio oggetto magico, dal punto di vista del potenziale narrativo. A partire dal potere evocativo dell’italiano antico che ancora non aveva stabilizzato la distinzione tra la scienza astronomica e l’astrologia. Una tensione linguistica che nella città universitaria di Bologna trova ulteriore spunto, considerando che una cattedra di astrologia, che comprendeva anche l’insegnamento dell’astronomia, è attiva già a partire dal 1334.
Interessante in questo senso la figura dell’astronomo seicentesco Giovanni Domenico Cassini, matematico di origini liguri, docente di astronomia all’Università di Bologna, e realizzatore della meridiana di San Petronio, con una lunghezza (66,8 metri) pari alla seicentomillesima parte esatta della circonferenza terrestre. Di idee vicine a Galileo, Cassini nel periodo bolognese – durante il quale sviluppò grande fama, anche internazionale – preferì non allontanarsi dalle tesi della Chiesa e del sistema aristotelico che poneva la Terra al centro dell’universo; all’Osservatorio di Parigi, a partire dal 1669, sotto l’egida del Re Sole, i suoi studi godettero di una maggiore libertà.

Maometto, che compare nel grande affresco di Giovanni da Modena. Una rappresentazione del profeta dannato agli inferi, sicuramente più edulcorata rispetto al peccatore per scisma che troviamo “fesso” – nel linguaggio dantesco – per legge del contrappasso nel XVIII canto dell’Inferno.
Bologna (con la Torre Garisenda, citata nel canto XXXI, nella similitudine dedicata al gigante Anteo), i suoi cittadini e le loro attitudini e gli emiliano-romagnoli sono spesso rappresentati nella Commedia; l’Alighieri inoltre visse ripetuti periodi della sua vita nella capitale emiliana, dove frequentò pare (non esistono fonti ufficiali che l’attestino) anche l’Università. Una narrazione che segua le vicende personali del sommo poeta e i suoi scritti potrebbe trovare nell’affresco di Giovanni da Modena uno spunto pittorico molto interessante per portare Dante in città…

[Bibliografia]

– Associazione Succede solo a Bologna, I segreti di San Petronio, Argelato, Minerva, 2016.
– Cara R., Prevosti C., Torriani C., Città d’arte, Bologna, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2011.
– Lanzi G., La basilica di San Petronio, Bologna, Editcomp, 2006.
– Paltrinieri G., La meridiana della Basilica di San Petronio in Bologna, Bologna, Inchiostri associati, 2001.
– Raule A., La Basilica di San Petronio in Bologna, Bologna, Atesa, 1999.
– Riccomini E., L’arte a Bologna, Bologna, Editoriale Bologna s.r.l., 2003.
– Vignali L., La basilica di San Petronio, Bologna, Grafis, 1996
Bologna, Meridiani, n. 241, febbraio-marzo 2018.

[Sitografia]

Basilica di San Petronio

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