Aquilonia - Foto di Gennaro Aquino

Aquilonia (Carbonara)

Descrizione

Carbonara era il luogo originario in cui sorgeva l’odierna Aquilonia. Col sottofondo sonoro del fiume Osento, il borgo ebbe vita fino al 1930, anno nel quale un violento terremoto colpì i piccoli caseggiati in pietra distruggendo l’intera comunità. I pochi speranzosi superstiti decisero di rifarsi una vita non sulle macerie, ma nelle loro prossimità, spostandosi a un paio di chilometri di distanza. Oggi della vecchia Carbonara non restano che case quasi completamente distrutte, senza più i davanzali, le porte e le finestre, e una chiesa. Le rovine, chiuse entro una cancellata di ferro, costituiscono un parco archeologico disteso sul prato, tra qualche fiore e coccinella. La posizione del vecchio borgo enfatizza scenograficamente il suo fascino: adagiato su un colle, con ai piedi il lago San Pietro e le sue pale eoliche, Aquilonia di fronte e Monteverde alle spalle, è un luogo dove il silenzio e il ricordo regnano indiscussi.

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Cenni storici

Durante il corso del tempo la cittadina ha cambiato molte volte nome, ma il più conosciuto e rimasto impresso nel tempo e nella memoria è Carbonara, da ricondurre presumibilmente alla raccolta di carbone vegetale da parte degli abitanti. Il paese viveva di pastorizia e dello sfruttamento dei boschi.

Negli anni appena antecedenti l’Unità d’Italia, insieme ad altre aree del meridione a favore dei Borbone, prese parte a una sommossa contro l’Unità che si concluse con l’assassinio di nove persone. La sommossa venne soppressa e l’Italia fu unita proprio l’anno successivo, nel 1861.

Per eliminare dalla storia le tracce della macchia antiunitaria che si era fatta il borgo campano, il nome gli fu cambiato in Aquilonia. Dopo il terremoto del Vulture del 1930 il paese è stato completamente abbandonato e ricostruito a pochi chilometri di distanza.

Focus narrativi

Il Parco archeologico della vecchia Carbonara presenta ancora intatto l’originario tracciato urbano e le sue strade selciate rendono possibile un percorso a piedi fedele a quello compiuto quotidianamente dai cittadini dell’epoca. All’interno dello stesso Parco è stato aperto il Museo delle Città Itineranti, un angolo narrativo in cui scoprire tutte quelle città italiane che in seguito ad eventi naturali sono state distrutte e abbandonate.

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Dagli anni Ottanta Carbonara inizia a essere valorizzata attraverso un lunghissimo lavoro di scavi, finanziamenti e bandi volti a farla rinascere, reso ancor più difficoltoso dall’immondizia che gli abitanti della città vecchia avevano gettato sulle macerie, sommergendole, si suppone, proprio come gesto di rottura sprezzante coi brutti ricordi del passato. La cittadina è stata ripulita e in parte riassestata con materiali importati da Aquilonia. Dal recupero sono venuti alla luce gran parte della pavimentazione originale, come quella della piazza del Municipio, alcuni vecchi edifici e l’area della prigione.

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Il passato di Carbonara è ricordato attraverso il Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia”, che racchiude circa 14.000 oggetti della vita quotidiana dei vecchi abitanti e le testimonianze delle storie di pastori e contadini. Alla realizzazione del museo hanno contribuito tutti i residenti della cittadina e gli emigrati fornendo volontariato e offerte in denaro, donando oggetti o materiali fotografici e video. Il risultato finale è quello di una ricostruzione fedelissima dei contesti abitativi e lavorativi, in un perfetto ordine filologico, tale da consentire un tuffo nel passato immersivo quanto il viaggio con un macchina del tempo. I percorsi espositivi si distribuiscono su 1500 mq con spazi al chiuso e all’aperto, per un totale di 130 ambienti raggruppati in 12 contesti tematici (abitazione contadina e stalla; attività agricole e mondo vegetale; mestieri; produzioni alimentari; tradizioni popolari e antropologia; storia locale, archeologia; materiale lapideo; protoindustria; mondo animale e flora selvatica; alimentazione contadina e altri)

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Una figura curiosa che si trovava per le vie di Carbonara era quella del “Cantafrottole”, un personaggio brillante e loquace che frequentava luoghi pullulanti di gente e che conosceva un buon repertorio di storie da raccontare, novelle e barzellette. Il pubblico di ascoltatori era composto da persone di qualsiasi età ed estrazione sociale intente a commuoversi, ridere o rimanere affascinate dai suoi racconti, resi al meglio anche attraverso la gestualità e la mimica facciale. In cambio l’uomo non riceveva soldi, ma cibo e vino.

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Le lotte dei contadini per la rivendicazione territoriale hanno caratterizzato tutta la vita del borgo a partire dal 1810, con l’abolizione del feudalesimo nel Regno di Napoli e il passaggio di proprietà delle tenute demaniali alle amministrazioni comunali. I contadini ne richiesero le quote ma non furono accolte, così all’alba del 1860, dopo anni esasperanti di ingiustizie da parte dei ricchi amministratori, la massa dei braccianti si schierò contro i galantuomini e in favore di Francesco II di Borbone. Al grido di “la terra a chi la zappa!” i contadini si espressero con numerosi e violenti moti e ottennero, dal 1870 fino al 1898, le quotizzazioni dei terreni. Purtroppo la condizione economica dei braccianti restò comunque tremenda e alle soglie del Novecento molti furono costretti ad abbandonare la terra natia e cercare fortuna al nord Italia e in America.

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Carbonara ha toccato con mano l’esperienza del brigantaggio attraverso la figura di Carmine Donatelli Crocco, capo dei briganti di Rionero, che nell’aprile 1861 assediò il paese con il vessillo dei Borbone per difendere la monarchia e osteggiare con la forza l’avvento dell’Unità d’Italia. In quegli anni uscire di casa per raggiungere un paese vicino o semplicemente passeggiare per le strade era davvero pericoloso: si poteva incappare in sequestri di persona, assalti alle masserie o scontri a fuoco tra i briganti e i soldati che li osteggiavano. Con il consolidamento dell’Unità d’Italia e la consapevolezza che non sarebbero mai riusciti a raggiungere l’obbiettivo, molti briganti cessarono le loro attività o si consegnarono spontaneamente alle autorità per ricevere uno sconto della pena.

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Carbonara ha alle spalle una ricca tradizione enogastronomica. Il grano veniva impiegato per realizzare il pane, un avvenimento di cadenza settimanale che veniva percepito come una grande festa: si preparava anche una sorta di pizza farcita con lardo o ventresca e una panella con i ciccioli e i semi di finocchio. Oltre al pane, Carbonara produceva anche numerosi formaggi (ricotta, provola e provolone, burro e trecce), olio extra-vergine d’oliva, conserva di pomodoro per tutto l’anno e utilizzata sia per la pasta che da spalmare sul pane, vino, miele e pappa reale.

Spunti videoludici

I numerosi scontri a fuoco tra soldati e briganti all’interno del borgo può dare spunto per trasformare la sua spazialità in un teatro bellico vero e proprio, sia esso collocato temporalmente nei tempi dell’Unità d’Italia oppure decontestualizzato e trasportato in altri momenti storici.

La coesistenza di un passato rovinoso e proibito e una sua ricostruzione “museale” può dare vita alla coesistenza di due ambienti antitetici, ma facenti riferimento a una realtà comune. Qualcosa di simile si è visto nel parco a tema di Rapture in BioShock 2: qui, al fianco di uno spazio abbandonato e distrutto dalla guerra civile, spiccava un percorso che ne ripercorreva la storia e ne magnificava i momenti cardine. Al di là dell’approccio ironico e critico del celebre titolo Irrational Games, l’ambiente devastato di Carbonara e quello della sua ricostruzione potrebbero dare vita a un affascinante dialogo tra temporalità contrastanti e ormai inconciliabili.

[Bibliografia]
Edoardo Spagnulo, L’assalto di Carmine Crocco a Monteverde e Carbonara, Grottaminarda, Delta 3 Edizioni, 2009.
Edoardo Spagnuolo, La rivolta di Carbonara, Napoli, Nazione Napoletana, 2005

[Sitografia]
TerredelLupo.it
OrticaLab.it
MondodelGusto.it
IrpiniaNews.it
TravelFanpage.it
Autostrade.it
Aquilonia Musei
Beniculturali.it

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