Abbazia di Pomposa

Descrizione

Capolavoro dell’arte romanica, l’abbazia si riconosce da lontano col suo alto campanile, con la sua semplice facciata preceduta da un portico riccamente decorato in cotto e marmo e dal suo caldo colore rossastro del laterizio; sorta su quella che nell’antichità era un’isola (insula Pomposia) circondata dalle acque del Po di Goro, del Po di Volano e del mare, l’abbazia è stata, durante il medioevo, una delle più importanti del nord Italia quando da dopo l’anno mille divenne un fiorente centro di cultura grazie all’ordine benedettino, ai suoi monaci amanuensi e alla vasta biblioteca.
La chiesa abbaziale di aspetto basilicale tardo-ravennate internamente è divisa in tre navate da due file di colonne di stile ravennate-bizantino; la navata maggiore rapisce subito lo sguardo dell’osservatore: pareti lunghe e molto alte decorate con un affresco di scuola bolognese, diviso in tre registri sovrapposti, che si dispiega come un enorme rotolo mostrando scene bibliche in un divenire cronologico con storie del Vecchio, del Nuovo Testamento e dell’Apocalisse: una vera e propria “Biblia pauperum”.
Nel catino absidale si trova l’affresco di Cristo in gloria circondato da angeli, santi e dalla Vergine, opera di Vitale da Bologna del 1351; sottostanti l’affresco si vedono gli evangelisti, i dottori della Chiesa e il ciclo dedicato alle storie di Sant’Eustachio.
Nella parete interna della facciata è rappresentato il Giudizio Universale che riprende soprattutto riferimenti espliciti al Vangelo di Matteo.
Di grandissimo pregio è il pavimento di marmo in opus sectile risalente a differenti epoche (dal VI al XII secolo).
A lato della chiesa si innalza il campanile (48 m) costruito nel 1063 dall’architetto Deusdedit, come possiamo leggere su una lastra nella parete occidentale; simile al campanile della non lontana abbazia di San Mercuriale di Forlì, è diviso in nove moduli dove sono presenti finestre che, dal basso verso l’alto, diventano sempre più larghe e numerose fornendo all’edificio leggerezza e slancio accentuato anche dalla copertura a cuspide.

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Cenni storici

Una prima cappella venne eretta nel VI-VII secolo dai monaci di San Colombano; dalla metà del IX secolo si hanno notizie di un’abbazia e della prima comunità monastica benedettina che raggiunse il suo massimo splendore dopo l’anno mille, quando la giurisdizione politica e spirituale dell’abate si estendeva su tutti i territori vicini. L’abbazia che si vede oggi venne consacrata nel 1026; pochi anni dopo (tra il 1040 e il 1042) risulta risiedervi anche San Pier Damiani monaco e cardinale poi proclamato santo e dottore della Chiesa.
A causa dell’impaludamento della zona, dovuta al cambio del corso del Po (rotta di Ficarolo del 1152), e al conseguente diffondersi della malaria, si assistette ad un lento declino dell’abbazia, declino che accelerò poi dal XV secolo e che culminò con la soppressione del monastero nel 1653 ad opera di Papa Innocenzo X.

Focus narrativi

Una delle figure centrali dell’abbazia di Pomposa è stata quella di Andrea da Fano, abate dal 1336 al 1361: Andrea, committente del vasto ciclo pittorico che adorna la chiesa, è rappresentato nell’affresco dell’abside inginocchiato ai piedi della Madonna, davanti al Cristo pantocratore, senza aureola e senza paramenti vescovili o cardinalizi.
Andrea da Fano, che sopravvisse alla peste che in quegli anni decimò la popolazione europea, fu forse l’ultimo abate di Pomposa prima del lento declino dell’abbazia; le selve, i campi coltivati e perciò la ricchezza che proveniva da questo ambiente, andavano degradandosi sempre più: ciò avvenne non solo a causa della pestilenza e della successiva crisi economica del XIV secolo, ma anche per via della malaria e del decadimento ambientale dell’insula Pomposiana stessa. Del centinaio di monaci dell’anno mille, nella seconda metà del XIV secolo, ne rimangono così solo una decina al massimo.
Ecco perciò lo sforzo, nel 1351, dell’abate Andrea di Fano di chiamare un’artista, o più pittori, che decorarono ex novo la navata con le immagini giunte fino a noi, nell’ottica di una rinascita spirituale, che sorge in seno all’ordine benedettino, per avvicinarsi ai tempi d’oro intorno all’anno mille quando l’abbazia ospitava un centinaio di monaci ed era ricca e conosciuta in tutto il mondo.

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L’Apocalisse dipinta a cavallo degli archi della navata centrale è un unicum e non esistono altre abbazie medioevali, non solo in Italia ma anche in tutta Europa, che già all’inizio del XIV secolo rappresentino integralmente l’ultimo libro della Bibbia.
All’interno di immagini molto celebri troviamo delle autentiche innovazioni conseguite in parte grazie alle maestranze attive nella realizzazione e in parte grazie alla sapienza teologica dell’abate Andrea che probabilmente concepì questo affresco.
Se iniziamo a guardare l’affresco dal lato destro della navata centrale troviamo immagini classiche quali le teofanie, le visioni dell’evangelista Giovanni durante l’esilio a Patmos, o le immagini dei quattro cavalieri dell’Apocalisse; particolare è invece la cosiddetta cavalleria sulfurea: degli uomini a cavallo con la testa di leone, che non si trova in altre rappresentazioni coeve. Proseguendo sulla navata di sinistra è visibile l’armata angelica guidata da San Michele arcangelo che sta schiacciando verso l’abisso Lucifero, rappresentato con le ali da pipistrello così come viene descritto da Dante nella Divina Commedia; dopo la meretrice di Babilonia compare un’altra immagine particolare, il Cristo vendicatore, rappresentato con una spada a due lame che gli esce dalla bocca simbolo del vecchio e del nuovo testamento.

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A Pomposa risedette, nella prima metà dell’XI secolo, Guido d’Arezzo, monaco benedettino che, nel celebre trattato Micrologus, innovò il modo di insegnare, comporre e tramandare la musica ideando la moderna notazione musicale e dando il nome alle sette note, usato ancora oggi, prendendo la prima sillaba di ogni strofa dell’inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono:

“Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes”

Dal XVII secolo si decise poi di cambiare il nome della prima nota “ut” in “do”.
Come detto il declino dell’abbazia di Pomposa accelerò dalla fine del XIV secolo dopo che i monaci furono decimati dalla peste. L’epidemia di peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1352, conosciuta anche col nome di “peste nera” o “morte nera”, causò la morte di almeno un terzo della popolazione del continente; epidemie analoghe colpirono contemporaneamente anche il vicino oriente e l’Asia, il che fa supporre agli studiosi che si trattò di una vera e propria pandemia.
L’origine della pandemia sembra esser stata l’Asia centrale e da qui si sarebbe diffusa in tutta Europa a causa del primo caso, forse, di guerra batteriologica della storia dell’umanità: durante l’assedio tartaro del 1346 della colonia genovese di Caffa in Crimea, il khan ordinò di catapultare all’interno della città i cadaveri infetti di suoi soldati colpiti dal morbo. Grazie alla vasta rete commerciale dei genovesi la peste raggiunse poi facilmente Costantinopoli e la Sicilia e da qui si diffuse in tutta Europa causando la morte di almeno 20 milioni di persone in sei anni.

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L’Abbazia di Pomposa costituiva una delle tappe obbligate per i Romei, i pellegrini cristiani che durante il Medioevo si recavano a Roma da ogni parte d’Europa per venerare la tomba dell’apostolo Pietro; Pomposa si trova sulla via Romea germanica che univa la Germania, in particolare la città tedesca di Stade appartenente alla lega anseatica, a Roma.

Spunti videoludici

Peste / Apocalisse. L’Abbazia è il primo luogo di culto cristiano europeo in cui venne rappresentato il giorno del giudizio. Interessante parallelismo tematico con le vicende legate alla peste nera che interessarono la zona e ne causarono il declino, in vista dell’ideazione di un videogioco a tematica storico-catastrofica che abbia tra le location anche proprio la prima chiesa che rappresentò l’Apocalisse (con eventuale rimando iconografico-letterario al coevo Dante Alighieri).
L’Apocalisse di Pomposa potrebbe essere messa in dialogo, lateralmente, con altre rappresentazioni come quella presente nella Basilica di San Petronio di Bologna, territorialmente prossima e di poco successiva.
Interessante, sempre su questo filone, il potenziale iconografico e visionario legato a Giovanni Evangelista che può attivare un punte spaziale con la piccola e circoscritta isola greca di Patmos.

Il Micrologus. Pomposa – e la sua iconica Abbazia – potrebbe essere l’ambiente di gioco di un videogame musicale che graviti attorno alla figura del monaco benedettino Guido d’Arezzo autore del celebre trattato Micrologus.

[Bibliografia]

– Caselli L., L’Abbazia di Pomposa: guida storica e artistica, Treviso, Canova, 1996.
– Di Francesco C., Pomposa: storia e arte dell’Abbazia, Bologna, Editore Italcards, 1999.
– Samaritani A., Di Francesco C. (a cura di), Pomposa. Storia, arte, architettura, Ferrara, Corbo, 1999.
– Simoni M., I misteri dell’abbazia di Pomposa. Immagini, simboli e storie, Milano, La nave di Teseo, 2017.

[Sitografia]

Ferrara terra e acqua
Rai Play Radio

[Scheda Film Commission]

Emilia-Romagna Film Commission

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