Descrizione
Il complesso della cittadella monastica del Santissimo Salvatore al Goleto sorse a partire dal 1133, per volontà di Guglielmo da Vercelli (in seguito proclamato Santo dalla Chiesa Cattolica). Il complesso, situato nella direttiva di collegamento che da Napoli giunge alle Puglie, è oggi particolarmente affascinante, pur nei crolli e nelle difficoltà che il tempo ha portato con sé.
Cenni storici
L’abbazia venne fondata nel 1135 dal futuro San Guglielmo da Vercelli, già fondatore del santuario di Montevergine. Inizialmente ebbe gran risalto nella regione, ma nella metà del ‘300 iniziò a perdere prestigio fino a quando papa Giulio II, nel 1506 decise per la soppressione dell’abbazia, la quale si ritrovò unita a Montevergine. Questo fino a quando, tra ‘600 e ‘700, un rinnovato interesse per la zona non portò al suo recupero.
Il declino definitivo giunse nel tempo napoleonico quando la soppressione degli ordini monastici fece abbandonare l’abbazia, lasciandola alla mercé di ladri e vagabondi. Per fortuna a partire dal 1973 l’abbazia è stata completamente restaurata ed è oggi gestita dall’ordine dei Piccoli Fratelli di Gesù.
Focus narrativi
Una delle descrizioni più belle di San Guglielmo è quella di Giustino Fortunato, attento studioso del Sud, che su queste terre scrisse L’alta valle dell’Ofanto alla fine dell’800: “Uno di quegli uomini singolarissimi a’ quali è dovuta la storia dei moti religiosi dell’anima popolare […] ma non egli, autore e banditore di castri era fatto veramente per l’eremo: l’uomo aveva troppo nel sangue dell’avventuroso e del fantastico. Gli ultimi vent’anni della vita trascorse in continue, assidue peregrinazioni, messaggero di letizia e di concordia a tutte le valli dell’Appennino lucano-irpino, tanto care al suo cuore e tanto da lui predilette”.
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Il monastero aveva la caratteristica, abbastanza rara, di essere al contempo femminile e maschile. L’ala maschile aveva un ruolo minore e sostanzialmente di supporto a quella femminile: ai monaci spettava infatti l’amministrazione dell’abbazia, l’archivio e la rappresentanza come procuratori, ma l’autorità massima fu sempre quella della Badessa.
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Data la rilevanza feudale che il monastero ebbe per tutta la sua storia, non stupisce che già nel 1152 la Badessa Febronia ordinasse la costruzione di una grande torre a difesa del complesso. La torre, oggi chiamata Torre Febronia, è particolarmente rilevante come esempio di arte romanica, laddove presenta numerosi blocchi con bassorilievi saccheggiati da un mausoleo romano dedicato a Marco Paccio Marcello, testimoniando della diffusa pratica cristiana di costruire le proprie chiese utilizzando materiali dei templi pagani.
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La vita monacale dell’Abbazia ci giunge da un biografo di San Guglielmo, che scrisse nel XII secolo: “In quella santissima comunità non v’è alcuna che beva vino, anche in caso di malattia; stimano illecito anche il solo nominare le carni; il formaggio e le uova; il loro vitto consiste in solo pane, pomi ed erbe crude in tre giorni della settimana, negli altri tre in pane e in una sola vivanda condita con olio. Inoltre, dalla festa di Tutti i Santi fino al Natale e dalla Settuagesima fino alla Pasqua, si mantengono soltanto con pane e acqua. Alcune si astengono anche dal pane e si contentano di pomi e di legumi. Hanno tutte un solo volere, tutte mortificano la carne coi suoi vizi e le sue concupiscenze: il loro morire al mondo è vivere a Dio”.
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Se nel secolo successivo alla fondazione il Goleto divenne una vera e propria potenza feudale, grazie sia alle donazioni di famiglie nobiliari, sia alla protezione del Papato, degli Svevi e degli Angiò, nella seconda metà del ‘300 vide una brusca decadenza: i re di Napoli, tradizionali protettori dell’abbazia, divennero gli Aragonesi, del tutto lontani dall’Abbazia, e lo stesso Stato Pontificio si ritrovò immerso nelle vicende della cattività avignonese. Le monache, ormai ridotte a un numero esiguo, non avevano più alcun potere e rimasero in balia degli eventi fin quando nel 1505 papa Giulio II, per richiesta dell’abate di Montevergine (un Carafa), acconsentì a sopprimere il monastero femminile e a porre l’intera struttura alle dipendenze di quello di Montevergine.
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Quando nel 1600 l’Abbazia tornò lentamente a vivere come entità autonoma, le cose non furono facilitate dai due terremoti che la colpirono (nel 1694 e nel 1702). Fu però quello del 1732 il vero e proprio colpo di grazia, che ne distrusse la gran parte. Ciononostante questo divenne l’occasione per ridare lustro all’abbazia procedendo alla sua ricostruzione su basi nuove. L’abate del tempo, raccolti 2000 ducati, affidò allora il progetto all’architetto Domenico Vaccare, uno dei più fecondi artisti napoletani del tempo che, scartando l’ipotesi di ricostruire la Chiesa completamente da zero, convenne di recuperare tutto il possibile e di abbattere (e ricostruire) solo la Chiesa Maggiore del complesso monacale.
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La soppressione degli ordini monastici del 1807, voluta da Giuseppe Bonaparte sul modello francese, portò alla completa dismissione dell’abbazia, cui conseguì una intensa attività vandalica che spogliò gli edifici di altari, statue, marmi, campane e molto altro. Solo negli anni ’70 si provò seriamente a tenere cura del bene in quella nuova corrente di pensiero volta a valorizzare i luoghi storici e culturali. Purtroppo il terremoto del 1980 colpì duramente la zona (vicina all’epicentro) portando a nuovi crolli e dissesti (con il particolare crollo proprio della Chiesa del Vaccaro) ma donando l’opportunità, come già appunto dopo il terremoto del 1732, di inserire l’Abbazia nel più vasto movimento di ricostruzione e valorizzazione della zona.
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Di particolare fascino è proprio la Chiesa del Vaccaro, cui manca l’intera volta e che oggi offre una location suggestiva soprattutto in presenza di condizioni climatiche soleggiate, tanto da essere palcoscenico di numerosi matrimoni lì celebrati.
Spunti videoludici
Data l’intensa attività di vandalismo a cui andò incontro il monastero alla sua soppressione è immaginabile sia pensare a un videogioco strategico che verta sulla difesa dagli assalti dei criminali locali, sia ad un videogioco avventuroso/di ruolo in cui si è in prima persona a combattere tali attacchi.
Altra possibilità ci pone dinnanzi al videogioco ruolistico di ambientazione medievale, passante magari per una ricostruzione della vita monastica (e quindi per parentesi storiche e realistiche, o addirittura simulative dei ritmi e dell’estetica del tempo).
Una ulteriore trasformazione dell’abbazia potrebbe trasporla in un contesto horror, data la particolare architettura del posto, di stampo sia romanico che gotico.
Fonti e link
[Bibliografia]
F. Barra, L’abbazia del Goleto, Quaderni Irpini, 1979
G. Mongelli, Profilo storico del Goleto dalle origini ai nostri giorni, Valsele, 1985
G. Fortunato, Scritti vari, 1900
[Sitografia]
Abbazia del Goleto